Organizzato dall’Università telematica “Pegaso”, si è svolto a Palermo nei giorni scorsi un importante convegno politico-culturale per lanciare l’idea della costituzione di una MacroRegione europea che abbracci tutto il Mediterraneo occidentale e, in particolare, le Regioni del Mezzogiorno. Come si legge nel documento finale sottoscritto dagli organizzatori e da tutti i relatori, “la prospettiva della MacroRegione del Mediterraneo occidentale vuole costituire la risposta, seppure tardiva, a una sollecitazione venuta dall’Unione Europea sin dal 2009 e tendente a riorientare il processo di integrazione attraverso un’azione non solo economica. E ciò in linea con quanto previsto dal Trattato di Lisbona che ha inteso declinare in forma nuova il principio di sussidiarietà”.
In sostanza, la MacroRegione che si propone sarebbe uno strumento per la migliore attuazione della coesione territoriale che, nei processi di sviluppo più recenti, si affianca e completa la coesione economico-sociale, in riferimento alla quale finora sono state indirizzate la maggior parte delle politiche europee. D’altro canto, la strategia di cooperazione territoriale mira a evitare la dispersione delle risorse. Essa le concentra nel tentativo di risolvere alcuni problemi comuni a più autorità statali e sub-statali in determinati macro-settori (definiti “pilastri” o “obiettivi”) la cui dimensione può variare in considerazione dei soggetti partecipanti. Da qui la sua natura funzionalistica dalla quale la Commissione Europea fa derivare la famosa “regola dei tre no”: 1) No! a finanziamenti specifici a carico del bilancio UE, ma coordinamento dei fondi europei e nazionali esistenti; 2) No! all’introduzione di una normativa specifica in quanto ogni strategia macroregionale deve essere frutto solo di nuova progettualità; 3) No! alla creazione di un ulteriore livello istituzionale dovendosi applicare alle MacroRegioni i principi della cooperazione, del coordinamento, dell’integrazione, della governance multilevel. In definitiva, un approccio –questo macroregionale- il cui obbiettivo è il miglior coordinamento delle istituzioni e delle risorse già disponibili nell’ambito delle norme esistenti.
Ora, se si fa un attimo mente locale a quanto appena accennato, ci si rende subito conto che l’efficacia di tale prospettiva finisce per essere definita dalla circostanza che il miglior coordinamento che essa assicura nasce dall’abbattimento e dal superamento dei confini politico-amministrativi entro cui, a oggi, restano costretti Stati, Regioni ed Enti territoriali vari. Il che significa che la MacroRegione è una forma di aggregazione dei territori non più determinata da retaggi e vincoli storici, ma dalla capacità di capovolgere il concetto di confine da luogo del limite, della delimitazione, del divieto dell’oltrepassamento in sede dell’incontro, della collaborazione, della cooperazione, dell’integrazione.
Ma se questo è vero -e lo confermano le Macro Regioni già costituite (la Baltica, la Danubiana, la Adriatico-Jonica e la Alpina)- le conseguenze dell’adozione di questa strategia nell’ordinamento comunitario dell’Unione non saranno limitati agli specifici obbiettivi intorno ai quali essa è stata costruita ma, pur non rappresentando un nuovo soggetto istituzionale, investiranno le vecchie aggregazioni territoriali degli Stati nazionali esistenti e dimostreranno come sono proprio questi ultimi con le loro delimitazioni insormontabili a impedire la costruzione dell’Europa comunitaria dei Padri fondatori.
Non solo. Ma questa attitudine al coordinamento, alla cooperazione e, addirittura, all’integrazione, le MacroRegioni la mostreranno ancor di più, se possibile, con riferimento agli ordinamenti regionali che in Italia, come negli altri Paesi europei, sono sottoposti a un ritorno di centralismo statalistico che tende a esautorarli, sia dal potere legislativo che dal potere amministrativo, mortificandoli oltre tutto con tagli lineari.
Naturalmente qui non si vuol mettere in discussione che le Regioni oggi, almeno in Italia, siano diventate in larga misura centri di potere fine a se stesso, incapaci di provvedere alle esigenze di sviluppo socio-economico dei territori, lontane dall’impegno per la crescita democratica delle popolazioni, insensibili alla tutela dei diritti di cittadinanza. Come sottolinea l’opinione pubblica, negli ultimi lustri le Regioni si sono trasformate in soggetti di inquinamento della gestione amministrativa, in centri di evasione dalla stessa autorità regolativa dello Stato, rinunciando al loro ruolo di programmazione e normazione per tuffarsi in una attività gestionale diretta o attraverso la promozione di società controllate ed enti sottoposti a rigida lottizzazione politica. Ciò che invece si deve sottolineare è che, se si vuole che l’ordinamento regionale si inserisca virtuosamente in una nuova organizzazione della Repubblica, altra deve essere la pista da battere. E, precisamente, quella del riordino territoriale delle venti Regioni attualmente previste dall’art. 131 della Costituzione, come ormai segnala un vasto movimento di opinione che ha indotto diversi parlamentari a presentare proposte di leggi costituzionali per “ridisegnare la cartina d’Italia” (Roberto Morassut).
Del resto, questa prospettiva di modificare le attuali Regioni per costruire un inedito sistema di MacroRegioni non rappresenta altro che il riemergere di un’antica idea la cui nascita, all’indomani della seconda guerra mondiale, fu prospettata dal leader del Movimento Indipendentista Siciliano (MIS), Andrea Finocchiaro Aprile, e poi ripresa, nella prima metà degli anni settanta del secolo scorso, da un lato, da Guido Fanti, primo presidente della Regione Emilia-Romagna, e, dall’altro, da Piersanti Mattarella, allora semplice deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana. Da allora, per una quindicina di anni, la proposta macroregionale sembrò scomparire dall’agenda politico-istituzionale per riemergere nel 1992 con la famosa ricerca della Fondazione Agnelli che rilanciava l’idea di macro aree geo-economiche a vocazione europeista come alternativa al regionalismo burocratico-amministrativo dell’esperienza attuata in Italia e criticata anche dalla proposta federalista della Lega Nord e per essa di Gianfranco Miglio che riprendeva una sua vecchia convinzione e sosteneva una rinnovata architettura istituzionale del Paese in tre MacroRegioni (o “Italie”). Per arrivare, così , a oggi, quando la riforma dell’impalcatura della Repubblica in chiave macroregionale non servirebbe soltanto per ridisegnare l’organizzazione territoriale del nostro Paese, ma anche per aiutare al superamento dei ‘muri’ costituiti dai confini dei singoli Paesi europei e così ricomporre nuove Comunità geo-politiche di dimensione continentale.
Ma come? In che direzione? Attraverso una aggregazione di aree regionali omogenee per territori, storia, cultura, sensibilità politiche e interessi socio-economici che superino le diversità di appartenenza nazionale e si collochino nella prospettiva europea. Di quella Europa politica, però, che non può che essere dei Territori e dei Popoli. Non più degli Stati. Può sembrare temerario fare questa affermazione nel pieno del boom della logica intergovernativa che tende a spazzare via tutte le istanze comunitarie. Ma è proprio così. Se infatti non si accantona il pensiero centralista e tecnocratico che ha dato vita all’attuale struttura burocratica, priva di anima, per ritornare all’idea originaria di Europa, l’attuale impronta prettamente economicistica, assunta a seguito del Trattato di Maastricht, non sarà superata mai e la moneta unica sostituirà quella unità culturale, politica, sociale ed economica che costituisce l’unica ragion d’essere dell’Unione Europea. Confermando, come già sostengono molti Movimenti popolari, che si tratta di un clamoroso fallimento che ha prodotto una devastante crisi economica, non ciclica ma strutturale. Non solo. Ma, ancora di più, ha determinato un appiattimento delle culture storiche che ha ridotto l’Europa a una entità senza identità, scarsamente democratica e spesso incomprensibile per i suoi stessi cittadini, costretti ad assistere allo scempio dei respingimenti dei migranti chiedenti asilo da parte di Paesi che devono la loro attuale esistenza proprio alla generosa accoglienza della (vera) Comunità Europea.
Ora, se si vuole evitare questa prospettiva fallimentare, non c’è dubbio che l’unica possibilità è quella di costruire un nuova unità politica del vecchio Continente fondata su queste MacroRegioni che abbiamo visto essere, per un verso, l’unico vero contenuto di una possibile riforma ordinamentale non solo nel nostro, ma anche in altri (Francia, Germania, Spagna) Paesi europei e, per un altro verso, la strada indicata dall’UE per perseguire obbiettivi di sviluppo non raggiungibili singolarmente da un Territorio segnato dall’appartenenza ad un singolo Stato. Ma, poichè l’approccio macroregionale è una iniziativa innovativa di concertazione e di collaborazione che implica la piena inclusione delle Regioni interessate, ecco che la costruzione di una MacroRegione del Mediterraneo occidentale potrebbe costituire l’occasione anche per realizzare quella cooperazione territoriale indispensabile allo sviluppo equilibrato e sostenibile del Mezzogiorno d’Italia.
Chiaramente, allo stato attuale, la MacroRegione mediterranea non presenta confini definiti e, secondo gli indirizzi europei, non sarebbe altro che un “piano d’azione” volto ad affrontare le problematiche e le sfide comuni degli enti nazionali, regionali e locali che si affacciano nell’area. In prospettiva, anche se non bisogna immaginarla come un nuovo livello istituzionale, potrebbe invece configurarsi come una struttura di governance multilevel che garantisca la partecipazione delle Autorità regionali e locali alle politiche di cooperazione europea per i sistemi energetici, la ricerca scientifica e l’innovazione, la cultura, la tutela ambientale, etc.. Insomma, potrebbe diventare una rete dove annodare tutte le materie che costituiscono i settori portanti di una crescita economica intelligente e sostenibile che, non solo, sarebbe in linea con la strategia dell’UE, ma avrebbe anche la capacità di dare un apporto significativo allo sviluppo del Paese. E soprattutto al rinascimento del nostro Mezzogiorno che di questa MacroRegione del Mediterraneo potrebbe essere uno dei motori propulsori assieme a Regioni come la Catalogna, la Costa Azzurra, l’Andalusia, la Corsica, Malta.
Ovviamente, è chiaro che la costruzione di una MacroRegione del Mediterraneo occidentale deve schivare l’insidia di una governance intergovernativa -benché la sua natura transnazionale implichi anche la partecipazione degli Stati interessati- e costituire soltanto un sistema di governo articolato su più livelli, tra cui in particolare quello regionale. Ma per compiere i primi passi in questa direzione non ci si può affidare nemmeno alla Commissione o al Consiglio europei. Si deve puntare su una Comunità regionale o, comunque, un soggetto locale che svolga il ruolo di capofila oppure creare un GECT (Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale) con obbiettivi condivisi e ben definiti. Sapendo che il bacino in questione è espressione di una medesima realtà storica e culturale.
In conclusione, il Mediterraneo costituisce uno spazio debolmente strutturato che invoca interventi di cooperazione e interconnessione sotto ogni punto di vista (economico, sociale, politico, ecologico). Ma lo sviluppo di queste popolazioni è una necessità per la stessa Europa – che conquisterebbe così una maggiore sicurezza, un controllo più sostenibile dei flussi di immigrazione e la partecipazione diretta a un’area in crescita- e per gli stessi Stati europei del Mediterraneo che devono sapere bene che da quest’ultimo può derivare il futuro dei propri rapporti con un’area strategica per la pace e il benessere delle proprie popolazioni.
Per le Regioni del Mezzogiorno d’Italia e la Sicilia, invece, un tale processo di cooperazione costituirebbe un’occasione unica per invertire quello che, viceversa, sarà un declino inesorabile e così conquistare uno spazio d’azione per la propria rinascita, a partire dalla costruzione di una nuova organizzazione di governo in cui il principio di cooperazione (federativa) si sostituisca a una malintesa autonomia rivendicata sempre più spesso per difendere piccoli privilegi,oggi desueti. Sapendo bene che una strategia macroregionale per il bacino del Mediterraneo contribuirebbe a determinare benefici in ordine alla lotta alla povertà, alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio ambientale, alla coesione territoriale, alla sicurezza ed, infine, anche al dramma delle migrazioni che non possono considerarsi solo un fenomeno emergenziale.