La «visuale panoramica», benché priva di una protezione giuridica in via diretta, in quanto capace di incidere sulla fruibilità dell’immobile e quindi sul suo valore economico, se compromessa, può integrare i presupposti dell’interesse a ricorrere. A ciò consegue che, ove venga meno tale situazione di oggettivo e fattuale godimento, la posizione giuridica cui si riconnette l’interesse ad agire non è il diritto dominicale leso, bensì, più propriamente, un interesse legittimo autonomo che si fonda sul pregiudizio autonomamente subìto, ovvero un interesse legittimo parallelo al diritto di proprietà e che costituisce il fondamento dell’interesse ad agire. (1).
In motivazione la sezione ha precisato che la «visuale panoramica» si collega solo indirettamente al diritto di proprietà, che si caratterizza per una pluralità di facoltà e poteri per come individuati, riconosciuti e limitati dal codice civile e, in generale, dal diritto privato aggiungendo che il panorama non costituisce in sé un aspetto del bene oggetto di facoltà di godimento. Inoltre, ha precisato che proprio l’evanescenza del bene tutelato, che non può consistere nella percezione soggettiva della bellezza della veduta, al fine di non incorrere nel rischio di ricomprendere profili di danno completamente disancorati da dati di realtà ovvero addirittura di piegare l’iniziativa giudiziaria a scopi meramente emulativi, richiede la dimostrazione della sua effettiva preesistenza e del suo basarsi su evidenti, peculiari e qualificati profili di pregio.
La categoria dei c.d. «atti di cortesia», di creazione pretoria, fa riferimento a situazioni che si collocano al di fuori dei presupposti di operatività dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nelle quali la risposta dell’amministrazione costituisce un di più, ovvero è resa in ossequio al principio di leale collaborazione che comunque deve improntare i rapporti con i cittadini. In quanto ultronei ovvero meramente esplicativi di scelte già adottate, tali atti non hanno la capacità di ledere la posizione giuridica soggettiva del privato e come tali non sono suscettibili di impugnazione. (2).
Un esempio tipico di «risposta di cortesia» è stato ravvisato nel caso in cui l’amministrazione decida di rendere il privato edotto della volontà di non accedere alla sua istanza di rimeditare un provvedimento sfavorevole, esplicitandone o meno le ragioni, e senza che vi siano una nuova istruttoria ed una nuova ed autonoma valutazione, e dunque senza che possa ravvisarsi l’esercizio di un autonomo potere provvedimentale.
La presentazione di una denuncia per abuso edilizio riconducibile al presunto mancato rispetto dei presupposti di una s.c.i.a. ed il potere di vigilanza in materia edilizia non giustificano l’effettuazione di controlli sine die sulla s.c.i.a. e non consentono di superare la tempistica fissata per i controlli e per l’esercizio dell’autotutela dall’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ad eccezione delle ipotesi in cui il controllo sul titolo si risolva nell’accertamento di uno «sconfinamento» dal perimetro definitorio dello stesso, sicché l’opera/attività non può che esserne considerata priva. (3).
Come esempio di «sconfinamento» dal perimetro della s.c.i.a., nella sentenza sono evocati gli interventi non destinati a soddisfare esigenze temporanee e contingenti, realizzati presentando una semplice comunicazione inizio lavori (Cil) ex art. 6, comma 1, lett. e-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, ovvero l’utilizzo di una comunicazione inizio lavori asseverata (Cila) ex art. 6-bis del d.P.R. n. 380/2001 per interventi che risultino invece riconducibili a s.c.i.a..
L’autotutela ex art. 19, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 si diversifica sul piano ontologico dal modello generale declinato dall’art. 21-nonies per la non incidenza su un precedente provvedimento amministrativo, connotandosi pertanto come procedimento di primo e non di secondo grado e per la natura doverosa della attivazione, in deroga alla natura discrezionale del generale potere di autotutela. (4).
I limiti alle altezze degli edifici devono essere ancorati a dati certi e oggettivi ricavabili dalla situazione dei luoghi anteriore agli interventi e, in linea generale, il computo della misura entro la quale è consentita l’edificazione va determinato prendendo come parametro l’originario piano di campagna, cioè il livello naturale del terreno di sedime e non la quota del terreno sistemato, salvo normative regolamentari espresse. (5).
Nella sentenza è specificato che: i) sul calcolo dell’altezza dell’edificio non può incidere l’esistenza di un seminterrato (anche ove sia reso abitabile), qualora il mutamento di utilizzazione meramente funzionale, entro la destinazione residenziale già acquisita, di un volume preesistente non produca modificazioni del piano di campagna; ii) Il concetto di altezza del fabbricato nel suo complesso in generale, comprensiva di tutti i piani, e quello di altezza rilevante a fini urbanistici, parametrata alla sporgenza rispetto al piano di campagna, non coincidono quando il terreno non ha un andamento regolare; iii) il mutamento d’uso (da accessorio residenziale a spazio abitativo), in difetto di variazione delle quote altimetriche esterne, non modifica il metodo di calcolo dell’altezza dell’immobile, salvo diversa previsione.
(1) Non risultano precedenti negli esatti termini
(2) Non risultano precedenti negli esatti termini
(3) Conformi: Cons. Stato, sez. VI, 11 agosto 2020, n. 5006.
(4) Conformi: Cons. Stato, sez. II, 2 novembre 2023, n. 9415; sez. VI, 8 luglio 2021, n. 5208.
(5) Conformi: Cons. Stato, sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4923; sez. IV, 24 aprile 2009, n. 2579.
Fonte: Ufficio Massimario Consiglio di Stato