Ninetta Bartoli è stata la prima donna sindaco d’Italia: esattamente 70 anni fa, il 10 marzo 1946, venne eletta sindaco del comune di Borutta, paese del Meilogu a circa 30 chilometri da Sassari. E quale regione ha anticipato tutti nell’approvare una legge che declini la burocrazia al femminile? La Sardegna of course…
E ancora: era il 1300 e in Sardegna governava Eleonora d’Arborea, una giovane donna che non disdegnava le battaglie. Allora l’isola era divisa in giudicati. Passò alla storia per il primo codice legislativo scritto, dopo quello di Giustiniano, ma anche per aver iniziato una rivoluzione amministrativa tutta in rosa. Introdusse una norma contro le violenze sessuali e decise che i suoi sudditi la dovessero chiamare Giudicessa. Settecento anni dopo la Sardegna adotta la prima legge che impone alla macchina amministrativa di utilizzare tutti i termini del dizionario burocratico anche al femminile.
“Sindaca”, “consigliera”, “prefetta”, “assessora”, “commissaria”: da oggi, dunque, la comunicazione istituzionale della Regione Sardegna dovrà declinare ruoli e professioni al femminile. Lo prevede, in un articolo dedicato allo sviluppo delle politiche di genere e alla revisione del linguaggio amministrativo, la legge sulla semplificazione appena approvata. E se qualcuno avrà da storcere il naso perché “suona male”, dovrà vedersela con la professoressa Cecilia Robustelli dell’Accademia della Crusca che, per complimentarsi, ha chiamato la consigliera e autrice dell’emendamento passato in Consiglio regionale, Annamaria Busia del Centro democratico, affermata avvocata penalista.
Del resto, spiega, “perché avvocata è brutto e invece maestra e impiegata no? La verità è che il nome del mestiere declinato al femminile diventa cacofonico nella misura in cui si avanza di livello nella scala professionale”. Solo questione di abitudine, dunque. Il tempo non manca: l’Amministrazione avrà sei mesi dall’entrata in vigore della legge per adottare “un linguaggio non discriminante rispettoso dell’identità di genere, mediante l’identificazione sia del soggetto femminile che del soggetto maschile negli atti amministrativi, nella corrispondenza e nella denominazione di incarichi, di funzioni politiche e amministrative”.
La stampa il suo dovere l’ha fatto: “Le indicazioni in tal senso sono state recepite in modo facile e sorprendente, da un momento all’altro, tanto che nessuno si sognerebbe mai, adesso, di parlare di sindaco Raggi”, sottolinea Busia. Se oggi il linguaggio di genere è nell’agenda politica, “molto del merito – spiega – è della presidente della Camera, Laura Boldrini, della sua battaglia per affermare che identificare la professione o il ruolo di una donna utilizzando il termine al maschile è un mancato riconoscimento, una forma sottile di discriminazione”.
Del resto le parole sono importanti, “definiscono e sono evocative delle cose e delle persone – chiarisce la consigliera – Non per niente il diritto ad essere riconosciuti per quello che è il proprio nome è un diritto costituzionale”. Busia ha ricevuto anche il plauso della presidente della Camera, “con la quale lo scorso maggio a Pescina – ricorda – ho presentato la proposta di legge sulla tutela delle vittime del femminicidio”. Occasione giusta per raccontarle dell’adeguamento approvato in Sardegna. Ma la consigliera non si ferma: “Ho già presentato una proposta di legge per modificare la Severino e introdurre le fattispecie che riguarda i reati sessuali contro le donne”.