Il Mezzogiorno resta agganciato alla ripresa economica dell’Italia uscendo da una lunga recessione. Nel 2016 ha consolidato la ripresa registrando una performance per il secondo anno superiore, se pur di poco, rispetto al resto del Paese. Ma l’emergenza principale resta l’occupazione: al Sud il tasso è ancora il più basso d’Europa (35% inferiore alla media Ue), nonostante nei primi 8 mesi del 2017 siano stati incentivati oltre 90 mila rapporti di lavoro nell’ambito della misura “Occupazione Sud”. La Pubblica amministrazione del Mezzogiorno sconta un forte ridimensionamento, in termini di risorse umane e finanziarie, con 21.500 mila dipendenti in meno e una spesa pro capite corrente consolidata pari al 71,2% di quella del Centro-Nord. Ma crescono in generale i posti di lavoro, anche si registra “un drammatico dualismo generazionale, al quale si affianca un deciso incremento dei lavoratori a bassa retribuzione”.
E’ questa la fotografia del Meridione che emerge dal Rapporto Svimez 2017 presentato lunedì alla Camera. Tuttavia, le previsioni per il 2017 e il 2018 “confermano che il Mezzogiorno è in grado di agganciare la ripresa, facendo segnare tassi di crescita di poco inferiori a quelli del Centro-Nord”. Nelle stime dello Svimez, aggiornate a ottobre, si legge che nel 2017 “il Pil italiano cresce dell’1,5%, risultato del +1,6% del Centro-Nord e del +1,3% del Sud”. Nel 2018 il tasso di crescita del Pil nazionale si attesterà “al1’1,4% con una variazione territoriale dell’1,4% nel Centro-Nord e dell’1,2% al Sud”.
Nel 2016 il PIL è cresciuto nel Mezzogiorno dell’1%, più che nel Centro-Nord dove è stato pari a +0,8%. Nello specifico delle singole Regioni meridionali, il PIL 2016 più performante è quello della Campania +2,4%, seguita da Basilicata +2,1%, Molise +1,6%, Calabria +0,9%, Puglia +0,7%, Sardegna +0,6%, Sicilia +0,3%, Abruzzo -0,2%. Nel 2016 il prodotto per abitante è stato nel Mezzogiorno pari a 56,1% di quello del Centro Nord (66% di quello nazionale). Il PIL per abitante della regione più ricca d’Italia, il Trentino Alto Adige, con i suoi 38.745 euro pro capite, è più che doppio di quello della regione più povera, la Calabria, che è pari a 16.848 euro ad abitante. I consumi delle famiglie meridionali sono aumentati nel 2016 dell’1,2%, contro l’1,3% del Centro Nord: in particolare, la spesa alimentare e quella per abitazioni cresce al Sud meno che nel resto del Paese.
Nel 2016 gli investimenti sono cresciuti nel Mezzogiorno del 2,9%, un incremento sostanzialmente in linea con quello del Centro Nord (+3%). Nel 2016 in agricoltura il valore aggiunto, dopo il boom del 2015, è tornato a diminuire, -8,8% rispetto al 2015, che si traduce in -9,5% nel Mezzogiorno e -1,9% nel Centro Nord. Nell’industria il prodotto è cresciuto al Sud (+3%) più che al Centro Nord (+1%). Positivo nel Mezzogiorno anche il valore aggiunto delle costruzioni (+0,5%), rispetto al centro Nord (-0,3%). Infine, nel terziario il valore aggiunto del Mezzogiorno con +0,8% ha superano quello del Centro Nord (+0,5%).
Nel 2016, 10 meridionali su 100 risultano in condizioni di povertà assoluta, contro poco più di 6 nel Centro Nord. L’incidenza della povertà assoluta nel 2016 nel Mezzogiorno aumenta nelle periferie delle aree metropolitane e nei comuni più grandi. Il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese, nelle due regioni più grandi, Sicilia e Campania, sfiora il 40%.
L’emigrazione sembra essere l’unico canale di miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie meridionali. Secondo la SVIMEZ, l’introduzione del reddito di inclusione avvia un processo per dotare anche l’Italia di una forma universalistica di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale. Ma per ora l’impegno finanziario è assolutamente insufficiente: del REI beneficerà soltanto il 38% circa degli individui in povertà assoluta per importi che sono generalmente compresi fra il 30 e il 40% della soglia di povertà assoluta per molte tipologie familiari.
Vanno fatte scelte redistributive che, senza gravare sul bilancio pubblico, consentano di allargare la platea dei fruitori. Si tratta di una misura che avrebbe un impatto sui consumi senza dubbio notevole.
Il sud perderà 5,3 mln abitanti tra il 2016 e il 2065
Le dinamiche territoriali, le migrazioni interne e quelle dall’estero continueranno a svolgere un ruolo rilevante e contribuiranno a ridefinire la geografia umana, in modo nient’affatto favorevole al Mezzogiorno che perderà 5,3 milioni di abitanti tra il 2016 e il 2065, a fronte di un assai più modesto calo (1,9 milioni) nel Centro-Nord.
Vuol dire sette punti percentuali in meno nella quota di popolazione residente nel Sud, con valori che scenderebbero dall’attuale 34,4% al 29,2% del 2065.
In 15 anni al sud persi 200 mila laureati
Alla fine del 2016 il Mezzogiorno ha perso altri 62 mila abitanti. Il saldo migratorio totale del Sud continua a essere negativo e sfiora le 28 mila unità, mentre nel Centro Nord è in aumento di 93.500.
Nel 2016 la Sicilia perde 9.300 residenti, la Campania 9.100, la Puglia 6.900.
Il pendolarismo nel Mezzogiorno nel 2016 ha interessato circa 208 mila persone, di cui 54 mila si sono spostate all’interno del Sud, mentre ben 154 mila sono andate al Centro-Nord o all’estero. Questo aumento di pendolari spiega circa un quarto dell’aumento dell’occupazione complessiva del Mezzogiorno di circa 101 mila unità nel 2016. Secondo la SVIMEZ, che ha elaborato una stima inedita del depauperamento di capitale umano meridionale, considerando il saldo migratorio dell’ultimo quindicennio, c’è stata una perdita di circa 200 mila laureati meridionali, e moltiplicata questa cifra per il costo medio che serve a sostenere un percorso di istruzione elevata, la perdita netta in termini finanziari del Sud ammonterebbe a circa 30 miliardi, trasferiti alle regioni del Centro Nord e in piccola parte all’estero. Quasi 2 punti di PIL Nazionale. E si tratta di una cifra al ribasso, che non considera altri effetti economici negativi indotti.
Nella pubblica amministrazione -21.500 dipendenti
La qualità dei servizi pubblici nel Mezzogiorno presenta un quadro di luci e ombre. Il Sud è un’area penalizzata nel godimento di alcuni diritti di cittadinanza e nell’offerta dei servizi pubblici. Tra gli aspetti postivi, un deciso calo dei procedimenti di giustizia civile pendenti, più accentuato al Sud, e un forte recupero nella diffusione dell’ICT nella P.A.
Secondo la SVIMEZ, c’è un forte ridimensionamento della Pa nel Mezzogiorno, in termini di risorse umane e finanziarie, tra il 2011 e il 2015: -21.500 dipendenti pubblici (nel Centro-Nord sono calati di -17.954 unità) e una spesa pro capite corrente consolidata della Pa (fonte CPT) pari al 71,2% di quella del Centro-Nord. Un divario in valore assoluto di circa 3.700 euro a persona.
La sfida di una maggiore efficienza della macchina pubblica al Sud passa per una sua profonda riforma ma anche per un suo rafforzamento attraverso l’inserimento di personale più giovane a più alta qualificazione. Ciò a dispetto dei luoghi comuni che descriverebbero un Sud inondato di risorse e dipendenti pubblici.
Nel 2016 toccato il livello più basso di investimenti pubblici
Gli investimenti pubblici, nel 2016 hanno toccato il punto più basso della serie storica (la spesa in conto capitale è stata il 2,2% del PIL, nel Mezzogiorno appena lo 0,8%), dopo il modesto incremento del 2015.
L’andamento della spesa in conto capitale in questi anni mette il Mezzogiorno su un livello molto più basso rispetto ai livelli pre crisi. E’ quanto emerge dal ‘Rapporto 2017 sull’economia del Mezzogiorno’ presentato da Svimez oggi a Roma, nella Sala della Lupa, alla Camera. Il crollo della spesa per infrastrutture nell’ultimo cinquantennio è stato del -2% medio annuo a livello nazionale, sintesi di un -0,8% nel Centro-Nord e -4,8% nel Sud.
In termini pro capite, gli investimenti in opere pubbliche nel 1970 erano pari a livello nazionale a 529,6 euro, con il Centro-Nord a 450,8 e il Mezzogiorno a 673,2 euro. Nel 2016 si è passati a 231 euro a livello nazionale, con il Centro-Nord a 296 e il Mezzogiorno a meno di 107 euro pro capite. Secondo la SVIMEZ, l’attivazione della clausola del 34% potrebbe invertire il trend, ma dovrebbe riguardare non solo le Amministrazioni Centrali ma anche il Settore pubblico allargato. La SVIMEZ chiede inoltre di rafforzare l’efficacia di tale norma prevedendo un monitoraggio al Parlamento e l’istituzione di un Fondo di perequazione delle risorse ordinarie in conto capitale, in cui riversare le eventuali risorse non spese nel Mezzogiorno, per poi finanziare i programmi maggiormente in grado di raggiungere l’obiettivo del riequilibrio territoriale.
Crescono gli occupati, ma a basso reddito. Calano in Sardegna
Nelle regioni meridionali nel 2016 gli occupati sono aumentati dell’1,7%, pari a 101 mila unità, ma mentre le regioni centro settentrionali hanno recuperato integralmente la perdita di posti di lavoro avvenuta durante la crisi (+48 mila nel 2016 rispetto al 2008), in quelle meridionali la perdita di occupazione rispetto all’inizio della recessione è ancora pari a 381 mila unità.
Nel 2016 l’occupazione giovanile meridionale è aumentata marginalmente, di sole 18 mila unità (+1,3%). La crescita maggiore continua a riguardare gli ultra cinquantenni, con oltre 109 mila unità, pari a +5,6%. Sulla crescita dell’occupazione nel Mezzogiorno incide l’ulteriore aumento del part time involontario (+1,9%), di poco inferiore all’80% del lavoro a tempo parziale.
Il lavoro regione per regione
L’unica regione del Sud dove gli occupati calano è la Sardegna e, in misura più contenuta, la Sicilia. I livelli restano comunque generalmente distanti da prima della crisi: -10,5% di occupati in Calabria, – 8,6% in Sicilia, -6,6% in Sardegna e Puglia, -6,3% in Molise, -5% in Abruzzo.
Solo in Campania (-2,1%) e Basilicata (-0,8%) siamo su valori vicini a quelli del 2008. L’aumento dei posti di lavoro al Sud riguarda in particolare l’agricoltura (+5,5%), l’industria (+2,4%) e il terziario (+1,8%).
Nei primi 8 mesi del 2017 sono stati incentivati oltre 90 mila rapporti di lavoro nell’ambito della misura “Occupazione Sud”, grazie alla proroga delle misure per la decontribuzione dei nuovi assunti nel Mezzogiorno decise dal Governo.
Secondo la SVIMEZ, la crescita dei posti di lavoro nell’ultimo biennio riguarda innanzitutto gli occupati anziani. Nella media del 2016 si registrano ancora oltre 1 milione e 900 mila giovani occupati in meno rispetto al 2008. E poi il lavoro a tempo parziale, che però non deriva dalla libera scelta individuale ma è involontario.
Si sta consolidando un drammatico dualismo generazionale, al quale si affianca un deciso incremento dei lavoratori a bassa retribuzione. E’ conseguenza dell’occupazione di minore qualità e della riduzione d’orario, che deprime i redditi complessivi.