In controtendenza rispetto agli ultimi anni, la burocrazia statale ha ripreso ad allungare i suoi tentacoli. Nel 2018, infatti, il saldo complessivo degli oneri amministrativi introdotti ed eliminati con gli atti normativi approvati dai singoli ministeri è tornato ad essere positivo. In virtù di questo esito, ammonta a poco più di 36 milioni di euro il costo aggiuntivo che le Pmi italiane dovranno farsi carico quest’anno per espletare le nuove procedure richieste.
Seppur modesto e ancora parziale, si tratta di un importo che va ad incrementare gli storici 31 miliardi che, secondo le stime della Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentano i costi amministrativi gravanti ogni anno sulle Pmi italiane. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA di Mestre. Il suo coordinatore, Paolo Zabeo, sottolinea: “Sebbene tutti i politici si dichiarino favorevoli ad alleggerire il peso degli oneri amministrativi sulle Pmi, questi dati dimostrano che gli aggravi di costo, invece, sono in aumento, per stessa ammissione dei ministeri. La burocrazia statale, in buona sostanza, non indietreggia, anzi torna ad avanzare, contribuendo a diffondere le inefficienze e le storture del nostro sistema pubblico che, lo ricordiamo, presenta livelli medi di qualità tra i peggiori d’Europa”.
Infatti, dai risultati riportati nell’ultima indagine promossa dalla Commissione europea sulla qualità della Pubblica amministrazione, emerge che su 28 paesi monitorati, l’Italia si colloca al 23° posto. Un risultato che ci relega nelle ultime posizioni della graduatoria generale: solo l’Ungheria, la Croazia, la Grecia, la Romania e la Bulgaria registrano delle performance inferiori alla nostra (vedi Tab. 1). Evidenzia il segretario della CGIA, Renato Mason:
“Sebbene sia sempre sbagliato generalizzare, anche alla luce del fatto che in Italia possiamo contare su delle punte di eccellenza nella sanità, nella ricerca e tra le forze dell’ordine che non hanno eguali nel resto d’Europa, il livello medio della nostra Amministrazione pubblica è ancora insoddisfacente. Soprattutto al Sud, dove i livelli di qualità e di imparzialità sono insufficienti, mentre la corruzione è avvertita come un fenomeno molto diffuso e assai difficile da contenere”.
Tra le 192 regioni d’Europa monitorate in questa indagine promossa dalla Commissione europea, la prima realtà territoriale italiana è il Trentino Alto Adige che si colloca al 118° posto. Seguono al 127° l’Emilia Romagna, al 128° il Veneto e al 131° la Lombardia. Male, in particolar modo, lo score ottenuto dalle regioni del Sud. Nelle ultime 10 posizioni della classifica generale notiamo che 4 sono occupate da realtà del nostro Mezzogiorno: al 183° posto la Basilicata, al 186° la Campania, al 189° l’Abruzzo e al 190° la Calabria. La regione più virtuosa d’Europa è la finlandese Åland, maglia nera, invece, la bulgara Severozapaden.
Come ha avuto modo di sottolineare anche l’Ocse nel “Rapporto Economico sull’Italia” (febbraio 2017), la produttività media del lavoro delle nostre imprese è più elevata nei territori dove l’Amministrazione pubblica è più efficiente. Diversamente, dove l’efficienza della Pa è più bassa, le performance di quest’ultima condizionano negativamente la produttività del settore privato. In questa analisi, inoltre, si evidenzia che l’inefficienza del settore pubblico produce maggiori costi economici soprattutto a carico delle realtà di piccola dimensione. Ed è emerso, altresì, che accorciando i tempi della giustizia civile e alleggerendo le regolamentazioni locali si attiverebbero delle ricadute molto positive sulle performance aziendali.
Anche il “Flash Eurobarometer 457” (dicembre 2017) si è occupato del sentiment degli imprenditori sulla complessità delle procedure amministrative che gravano sulle proprie attività. Tra gli 8 mila imprenditori europei intervistati, l’84 per cento degli italiani ha risposto che l’eccessiva regolamentazione rappresenta un grosso problema. Solo in Grecia (87 per cento), in Romania (86 per cento) e in Francia (85 per cento) il problema è risultato essere superiore al nostro. Nulla a che vedere, comunque, con le percentuali molto contenute emerse in Germania (51), in Spagna (49) e nel Regno Unito (19). La media dei 28 paesi dell’Unione Europea si è attestata al 60 per cento: 24 punti in meno del dato medio Italia.
Se gli imprenditori italiani denunciano un livello di soddisfazione per la Pa decisamente insufficiente, la situazione non migliora nemmeno quando sono chiamati ad esprimersi i cittadini. Secondo l’indagine “Standard Eurobarometer 89” (marzo 2018), solo il 29 per cento degli italiani intervistati giudica di buon livello i servizi pubblici erogati dallo Stato. Solo la Bulgaria (28 per cento), la Croazia (26 per cento) e la Grecia (14 per cento) presentano soglie di gradimento inferiori al nostro. La media UE a 28 è del 53 per cento.
Quali possono essere, pertanto, le misure da adottare per migliorare le prestazioni della nostra Pubblica amministrazione ? Innanzitutto, bisogna semplificare il quadro normativo. Cercare, ove è possibile, di non sovrapporre più livelli di governo sullo stesso argomento e, in particolar modo, accelerare i tempi di risposta della Pubblica amministrazione. Nello specifico è necessario:
- migliorare la qualità e ridurre il numero delle leggi, analizzando più attentamente il loro impatto, soprattutto su micro e piccole imprese;
- monitorare con cadenza periodica gli effetti delle nuove misure per poter introdurre tempestivamente dei correttivi;
- consolidare l’informatizzazione della Pubblica amministrazione, rendendo i siti più accessibili e i contenuti più fruibili;
- far dialogare tra di loro le banche dati pubbliche per evitare la duplicazione delle richieste;
- permettere all’utenza la compilazione esclusivamente per via telematica delle istanze;
- procedere e completare la standardizzazione della modulistica;
- accrescere la professionalità dei dipendenti pubblici attraverso un’adeguata e continua formazione.
Fonte CGIA di Mestre