“Difendendo la decisione di non erogare risorse per un miliardo e seicento milioni pattuite con 96 sindaci di altrettanti Comuni e Città metropolitane, risorse già oggetto di contratti stipulati al più alto livello istituzionale, hanno detto che tanto i Comuni non sono pronti. Parlando di mance e favori che il bando periferie faceva a questa o a quella amministrazione, hanno sostenuto che in realtà i Comuni non avessero diritto a quei soldi per una pronuncia della Corte Costituzionale. Beh, non è vero. Abbiamo fatto i compiti e possiamo dimostrarlo”. Lo ha dichiarato il presidente dell’Anci Antonio Decaro audito oggi, con una delegazione di 24 sindaci, dalla prima e dalla quinta commissione della Camera riunite, in merito alle norme che, nell’ambito del decreto Milleproroghe 2018 approvato dal Senato in agosto, bloccano i fondi del bando periferie (scarica il
documento presentato e i
numeri sul bando periferie).
Una fotografia del bando periferie. La misura i cui effetti il decreto Milleproroghe blocca, vale 1,6 miliardi di euro ai quali vanno aggiunti un miliardo e cento milioni di cofinanziamenti pubblici e privati. A beneficiarne sono 96 tra Comuni (87) e Città metropolitane (9) per 1.625 interventi da realizzare sul territorio di 326 comuni complessivi. Comuni in cui risiedono quasi venti milioni di italiani. Un investimento di questa portata, utilizzando i parametri dello studio Ance-Istat “L’industria delle costruzioni: struttura, interdipendenze settoriali e crescita economica” del 2015, genera valore economico di 9 miliardi di euro (tra settore edile e indotto) e una ricaduta occupazionale di 42 mila unità.
“E’ stato detto che questi interventi sono molto lontani dalla reale fase attuativa – ha rilevato Decaro – e invece, attraverso un monitoraggio promosso dall’Anci, siamo in grado di dire che i Comuni stanno lavorando, hanno già assunto impegni giuridicamente vincolanti, speso per le progettazioni e in parte anche per avviare i cantieri, anticipando i tempi di attuazione previsti dalle convenzioni firmate con la presidenza del Consiglio che prevedevano per la fine di agosto 2018 la sola progettazione esecutiva”.
In dettaglio. L’Anci ha esaminato lo stato di avanzamento dei progetti di 39 delle 96 amministrazioni locali coinvolte. L’importo complessivo dei 39 progetti è di 1.218.483.706 euro. Le amministrazioni hanno contrattualizzato impegni per 42.717.919 euro. Le spese certificate dai soggetti affidatari ammontano a 12.381.058 euro, mentre pagamenti sono stati effettuati per 8.832.529 euro. Nel 33% dei casi sono già state attivate le procedure di gara per l’esecuzione dei lavori, per un importo complessivo vicino ai 65 milioni di euro, mentre nel 9% dei casi i cantieri sono già stati aperti. Molti Comuni hanno già chiesto l’anticipazione del 20 per cento dell’importo dovuto e ammesso a finanziamento, senza ricevere riscontro, e altri Comuni, per il solo finanziamento delle spese iniziali di progettazione, hanno usufruito dell’apposito Fondo rotativo costituito da Cassa depositi e prestiti.
I Comuni e le Città Metropolitane hanno dunque già sostenuto, a decorrere dalla data di efficacia delle convenzioni, spese, oneri amministrativi e gestionali, inserito nelle programmazioni triennali delle opere pubbliche tali investimenti, nei bilanci triennali le previsioni di spesa, convocato le conferenze dei servizi per l’acquisizione dei necessari pareri e autorizzazioni paesaggistiche, avviato procedure ad evidenza pubblica, assunto specifiche obbligazioni contrattuali. Insomma i Comuni sono in fase avanzata nell’attuazione della misura.
“Bloccare i fondi – continua Decaro – non è solo un danno per i Comuni e per i cittadini che in quei Comuni vivono, quindi per l’economia del Paese. Il blocco dei finanziamenti è illegittimo sotto il profilo formale e irragionevole sotto quello sostanziale. Illegittimo perché viola un atto convenzionale tra la presidenza del Consiglio dei ministri e il sindaco beneficiario, sospendendo unilateralmente e senza alcuna motivazione, il rapporto in corso. Il finanziamento, secondo convenzione, può essere sospeso o revocato solo in casi tassativamente previsti. In assenza di abolizione o modifica, i sindaci sono quindi pronti a far valere in sede erariale, amministrativa e costituzionale i diversi profili di illegittimità della norma. Dal punto di vista sostanziale, poi, inviterei i parlamentari e i rappresentanti del governo a venire con i sindaci tra i cittadini a spiegare perché le scuole di Arezzo non si possano ristrutturare o il palazzetto dello sport di Rieti non si possa mettere a norma, il parco urbano di Nuoro non si possa rigenerare o le case popolari di Firenze riqualificare. Perché un’operazione importante e attesa di ricucitura di aree socialmente disagiate delle nostre città debba fermarsi. Attenderemo insieme l’esito di questa mobilitazione, fiduciosi che il buonsenso prevalga, che i commi 2 e 3 dell’articolo 13 del decreto siano abrogati e modificati. Confidiamo che il patto di reciproca collaborazione che dovrebbe guidare sempre le istituzioni con l’obiettivo di tutelare gli interessi dei cittadini, non resti inascoltato. Ma se così non fosse noi sindaci siamo pronti a presentarci a Palazzo Chigi e a consegnare le nostre fasce tricolori, simbolo che tiene insieme il Paese da Nord a Sud. Sfileremo noi rappresentanti delle istituzioni più vicine ai cittadini, i Comuni. Ma dietro di noi avremo, idealmente, tutti e venti i milioni di italiani ai quali si vuole rubare la speranza di vivere in città e paesi migliori”.