La democrazia, intesa come “governo del popolo”, è in crisi un po’ ovunque nel mondo, generalmente surrogata in forma di simulacro da esigue èlite di comando. Fenomeno che non risparmia neppure i Paesi di antica tradizione democratica che scontano criticità e limiti crescenti del proprio sistema di governance, stressato dalla galoppante complessità indotta dalla globalizzazione. Autorevoli osservatori e analisti sostengono che un rimedio possibile all’obsolescenza delle istituzioni democratiche, minate dalla disaffezione/disillusione dei cittadini (si veda la diffusa astensione nelle consultazioni elettorali), possa identificarsi con il potenziamento della partecipazione dal basso. E qui entrano in gioco Internet e la digitalizzazione dei processi produttivi e politici a tutti i livelli, forieri della così detta “disintermediazione” che, a sua volta, colpisce i “corpi intermedi” della società civile riducendone spazi, funzioni e margini operativi.
Le tecnologie digitali, paradossalmente, non soltanto minacciano ed erodono le strutture tradizionali della democrazia, ma sono anche in grado di rilanciare la partecipazione in forme e con modalità alternative, come preconizzano i guru della Rete. Fra conflitti e contraddizioni, la trasformazione in questa direzione della “vecchia democrazia liberale” è già in corso. Molteplici gli esempi a livello internazionale. Uno per tutti, circoscritto ma significativo, in quanto realizzato in ambito amministrativo locale: il bilancio partecipativo del Comune di Parigi. In fondo alla pagina del sito web della capitale francese si legge:
“Il Budget partecipativo di Parigi è il sito che offre ai parigini la scelta di utilizzare il 5 per cento del budget di investimento tra il 2014 e il 2020, mezzo miliardo di euro”. Nella “Carta del bilancio partecipativo” troviamo i dettagli di questa iniziativa. Qualsiasi cittadino, singolarmente o come rappresentante di un gruppo di persone, può avanzare delle proposte di spesa per quel 5 per cento – ad esempio, finanziare la creazione di più piste ciclabili o di rifugi per i senzatetto – iscrivendosi all’apposito sito del Comune di Parigi e lasciando i propri dati personali. La proposta viene presentata utilizzando un modulo elettronico unico dove vengono chiariti i dettagli e, nei limiti del possibile, l’impatto finanziario. Le proposte, a quel punto, vengono esaminate dal Comune che decide se siano ammissibili o meno, motivando la propria decisione. Le proposte ritenute ammissibili vengono a questo punto riassunte in un elenco e quindi sottoposte al voto dei cittadini, che potrà essere sia fisico, sia telematico. Successivamente, si procede a selezionare i progetti che ricevono il maggior numero di voti entro il limite della dotazione di bilancio definita. Questa procedura è scadenzata in un calendario, in base al quale i progetti devono essere presentati tra gennaio e febbraio. Tra marzo e maggio il Comune ne vaglia l’ammissibilità e la fattibilità, tra giugno e settembre le proposte vengono eventualmente accorpate, quando simili, e discusse. Il voto si svolge nel mese di settembre e a dicembre il Comune, quando vota il bilancio, vi include anche le proposte che sono risultate vincitrici.
Non v’è dubbio, pertanto, che a Parigi si dia una partecipazione reale – seppur limitata – dei cittadini alla definizione del bilancio comunale, e che la Rete svolga un ruolo di infrastruttura fondamentale per questa iniziativa, specie per la fase di raccolta ed esame delle proposte, ma anche per quella della votazione. Lo dimostrano anche i numeri. Nel report sull’andamento dell’iniziativa dell’aprile 2017, si legge infatti che “il livello di partecipazione nella città è cresciuto in modo significativo, da 40.000 votanti nel 2014 a 92.809 nel 2016, che rappresentano il 5% della popolazione urbana complessiva”.
Parigi non è un caso isolato. Tra le megalopoli che hanno dato vita a progetti di bilancio partecipativo figurano Madrid, New York, Seul, Delhi, Taipei e Bogotà. Ma anche in Italia sono in corso da alcuni anni esperimenti del genere. Accade a Milano, a Bologna e, a livello municipale, a Roma. Di particolare interesse l’esperienza del capoluogo lombardo. Nel 2015, Milano ha realizzato per la prima volta il bilancio partecipativo, costituito da quattro fasi:
– la proposta dell’idea che i cittadini desiderano sia finanziata;
– lo sviluppo del progetto;
– il voto e il monitoraggio dei lavori.
Per il 2017-2018, il budget messo a disposizione dal Comune è stato pari a 4,5 milioni di euro, ossia 500 mila euro per ciascuno dei nove municipi della città, che possono essere investiti solo in opere pubbliche (come “la ristrutturazione di uno stabile o l’acquisto di forniture per uno spazio pubblico”). Non possono essere finanziate, invece, le cosiddette “spese correnti”, ossia quella parte del bilancio comunale dedicata ai servizi (come “la gestione delle attività in uno spazio pubblico o l’affidamento di un orto condiviso”). Secondo i dati rilasciati dal Comune ad aprile 2018, nella prima fase sono state caricate 300 proposte sul sito, con la partecipazione di quasi 29 mila cittadini.