Il 40% degli edifici di edilizia residenziale pubblica che si trovano in zona sismica 1 – la più pericolosa – non rispondono agli attuali requisiti antisismici essendo stati costruiti prima del 1980 e hanno bisogno di interventi di miglioramento ed adeguamento “di particolare urgenza”.
Questo l’allarme lanciato da Federcasa nella ricerca “Patrimonio edilizio e rischio sismico. Necessità di conoscenza, possibilità d’intervento nell’ERP”, realizzata in collaborazione con l’Associazione Ingegneria Sismica Italiana (ISI) e presentata ieri a Roma alla presenza del Ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio. Il quadro è “piuttosto serio” e “sul totale di 2,760 edifici gestiti dalle aziende casa” in “1.110 necessitano di interventi di miglioramento urgenti”.
Per adeguare il patrimonio di edilizia residenziale pubblica, le case popolari, e garantire i migliori standard di sicurezza pubblica servirebbero dai 360 ai 400 milioni. Il problema è che il Sisma Bonus, le detrazioni fiscali per gli interventi di adeguamento e miglioramento antisismico, esclude le case popolari, ma se questa limitazione fosse eliminata si potrebbe avviare una prima tranche di interventi che “realisticamente potrebbe interessare circa 2mila alloggi per un totale investimenti pari a 75 milioni“.
Il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Graziano Delrio garantisce però che l’allargamento del Sisma bonus alle case popolari sarà “la nostra proposta prioritaria” per la prossima Finanziaria con “senz’altro un’aggiunta di denaro” necessaria ai fondi a disposizione per via dell’allargamento della platea.
Federcasa ha avviato dal 2015 uno studio in collaborazione con l’associazione Ingegneria sismica italiana (Isi) per valutare la vulnerabilità sismica delle case popolari gestite dalle aziende casa nelle zone a maggior rischio sismico (1, 2 e 3) e calcolare una stima del costo per incrementarne la sicurezza. Lo studio ha raccolto informazioni su un campione di 190.357 alloggi per un totale di 20.448 edifici che rappresentano il 30% del totale gestito nelle zone sismiche di riferimento.
L’8,4% degli edifici si trova in zona sismica 1, il 38,1% nella 2 e il 53,5% in zona 3. Il 10,2% degli edifici risalgono a prima del 1940, il 75,7% è stato realizzato tra il 1941 e il 1990. Gli edifici realizzati successivamente, tra 1991 e 2010, sono l’11% del campione. Una bassissima percentuale (3,9%) ha subito interventi di carattere strutturale, il 44,6% è stato realizzato in cemento armato e il 52% in muratura.
Per adeguare tale patrimonio e garantire i migliori standard di sicurezza servirebbero dai 360 ai 400 milioni. Il costo potrebbe diminuire se si decidesse di realizzare una serie di interventi per migliorare la capacità sismica entro i limiti minimi e massini – 60% e 80% – previsti per le nuove costruzioni. Per arrivare all’80% di sicurezza servirebbero tra i 290 e i 320 milioni, mentre per arrivare al 60% servirebbero tra i 216 e i 240 milioni.