La rapida adozione delle tecnologie per le smart-city ha portato a una serie di circostanze impreviste che potrebbero mettere a rischio le libertà civili, afferma un rapporto del Belfer Center for Science and International Affairs della Harvard Kennedy School, USA. La libertà degli spazi pubblici ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo della democrazia, sostiene l’autrice Rebecca Williams, un ruolo che ora potrebbe essere minacciato. Durante i disordini dell’estate del 2020, il dipartimento di polizia di San Diego ha, ad esempio, utilizzato delle telecamere integrate in lampioni smart per sorvegliare i manifestanti. Questo uso di una tecnologia, originariamente promossa come un’iniziativa da smart-city, volta al controllo del traffico e al monitoraggio della qualità dell’aria, ha suscitato preoccupazioni sui metodi in cui le tecnologie smart-city possono essere utilizzate. Il nuovo rapporto si concentra su hardware e software in grado d’identificare gli individui direttamente o indirettamente, come telecamere, localizzatori e sensori che sono componenti comuni dei progetti di smart city. Nel rapporto, la Williams delinea cinque possibili tendenze distopiche per la tecnologia delle smart city. Si arriva fino al totalitarismo, un sistema in cui la tecnologia viene impiegata senza considerare la volontà delle persone. L’autrice suggerisce che se il governo utilizza questo tipo di tecnologia di tracciamento senza una discussione o una decisione democratica, il fatto dovrebbe essere visto come un atto totalitario. Per evitare ciò, la Williams incoraggia una maggiore partecipazione da parte dei membri della comunità, soprattutto prima che funzionari e fornitori decidano quali informazioni vengano raccolte e come possano essere utilizzate. Man mano che le città intelligenti aumentano il livello di sorveglianza, la Williams mette in guardia anche dal “panopticonismo”, un aumento significativo della frequenza con cui i soggetti vengono sorvegliati tale da far loro presumere di essere sempre osservati. Ciò eroderebbe – per il rapporto – la privacy e l’autonomia delle persone e metterebbe a rischio la sicurezza generale a causa dell’enorme quantità di dati identificativi raccolti che potrebbero finire in mani sbagliate. Anche la discriminazione può essere un problema. Il riconoscimento facciale, afferma il rapporto, è stato spesso utilizzato in modo sproporzionato in tutto il mondo per colpire segmenti specifici della popolazione. Williams afferma che questa tendenza a prendere di mira i gruppi di minoranza, se rimane incontrollata, potrebbe approfondire le divisioni tra i governi e le comunità emarginate.
La tecnologia delle città intelligenti può anche accompagnare la società verso un’infrastruttura governativa più privatizzata, suggerisce la Williams. Questa tendenza potrebbe sostituire i servizi pubblici, sostituire la democrazia con il processo decisionale aziendale e consentire alle agenzie governative di sottrarsi alle protezioni costituzionali e alle leggi sulla responsabilità a favore della raccolta di più dati. Infine, le smart city rafforzerebbero il “soluzionismo tecnologico”, un fenomeno che vede le questioni politiche e morali come problemi da risolvere con la tecnologia. Nelle città intelligenti, i budget vengono così ridefiniti per raccogliere più dati piuttosto che per fornire beni e servizi materiali. Per arginare questi potenziali problemi, il rapporto offre diverse raccomandazioni. Per quanto riguarda le informazioni d’identificazione personale, la Williams suggerisce di ridurne al minimo raccolta e uso, imponendo limiti rigorosi all’accesso delle forze dell’ordine e ponendo fine alla profilazione ad alta tecnologia. “Per fortificare vecchi e nuovi spazi democratici, dobbiamo immaginare nuovi modi di governare nel rispetto della volontà dei cittadini e sviluppare nuovi diritti funzionali a tali fini”, conclude il rapporto.