L’Istat diffonde per la prima volta il Conto tematico sull’economia dello spazio, realizzato secondo le linee guida internazionali e frutto della collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana. Il lavoro misura il contributo del settore al sistema economico nazionale, includendo operatori pubblici e privati ma escludendo le amministrazioni pubbliche e le spese per la difesa. L’universo di riferimento comprende le attività upstream, downstream e space-derived.
Nel 2021 il comparto spaziale italiano ha generato 8 miliardi di euro di produzione e un valore aggiunto pari a 2 miliardi, lo 0,1% del Pil, con poco più di 23mila addetti. Le esportazioni raggiungono i 2,1 miliardi, le importazioni 1,6. Gli investimenti materiali ammontano a circa 0,7 miliardi, quelli in ricerca e sviluppo a 0,6.
Il cuore dell’attività si concentra nell’upstream, che impiega oltre 14mila addetti e produce 4,1 miliardi di valore, con un valore aggiunto di 1,3 miliardi. Qui si registra anche la quota maggiore del commercio estero: 1,8 miliardi di export e 1,2 di import. Nel complesso, manifattura e servizi contribuiscono in modo simile al valore aggiunto “space”: circa 1 miliardo ciascuno. Tra le attività industriali spiccano Altri mezzi di trasporto, Elettronica e Macchinari; nei servizi, software, telecomunicazioni e programmazione.
Il settore è fortemente polarizzato per dimensione d’impresa: oltre il 78% del valore aggiunto è prodotto da aziende con più di 250 addetti. I gruppi multinazionali incidono per il 90% del totale e attivano quasi tutti i flussi commerciali con l’estero. Nella sola componente upstream, le multinazionali a controllo italiano generano 0,7 miliardi di valore aggiunto, quelle estere poco più di 0,5.
La geografia della filiera è concentrata nel Centro e nel Nord-Ovest, che insieme raccolgono quasi il 90% dell’attività. Lazio, Lombardia e Piemonte da soli sommano la quota principale di valore aggiunto e occupazione.
La produttività delle imprese “space” supera del 65% quella del resto dell’economia, con un picco nell’upstream dove il valore aggiunto per addetto raggiunge i 94mila euro. L’internazionalizzazione del settore è marcata: il grado di apertura delle imprese upstream è del 77% superiore alla media, soprattutto grazie alle esportazioni, più che doppie rispetto alle altre imprese.
Sul fronte degli investimenti materiali il comparto è in linea con il resto dell’economia, mentre si distingue nettamente per la spesa in ricerca e sviluppo: la quota di R&S sulla produzione è del 6,1% contro il 2,6% generale.
Le retribuzioni nell’upstream sono elevate, in media 41mila euro annui per dipendente, il 55% in più rispetto alle altre imprese. Il settore è a prevalenza maschile, con un gap salariale più contenuto della media, e impiega una forza lavoro più istruita, con oltre il 32% di laureati. Molto basso l’uso di contratti a termine, appena il 3,7%, mentre i lavoratori a tempo indeterminato percepiscono retribuzioni nettamente più alte.
Il prossimo aggiornamento del Conto tematico è previsto per il 2027 con riferimento ai dati 2024.
Maggiori informazioni nella nota Istat