Dallo studio effettuato da due docenti della City University di Londra, emerge che i dipendenti con un curriculum accademico meno brillante hanno maggiori probabilità di costruirsi una carriera, perché sono maggiormente portati a “spegnere” il cervello una volta entrati in ufficio e a pensare meno, caratteristiche che vengono spesso premiate.
Nel loro ultimo libro, The Stupidity Paradox, i due studiosi hanno analizzato i risultati di diverse ricerche condotte negli ultimi anni in aziende americane e inglesi sull’intelligenza di dipendenti e manager. Chi commette errori o lavora con superficialità all’interno di una grande azienda, spiegano, passa facilmente inosservato. Questo non avviene solo per i nuovi assunti, ma anche per i grandi manager. Una volta arrivati al vertice il lavoro di un dirigente diventa paragonabile a quello di un burocrate. Convegni, documenti da firmare, presentazioni da organizzare, eventi a cui partecipare. Tutte attività dove l’utilizzo delle proprie facoltà mentali è scarso.
Stando ai numeri riportati nel libro, in America ogni anno si spendono 14 miliardi di dollari per la crescita professionale dei manager, ma senza che questi sforzi economici abbiano un reale impatto nella qualità lavorativa dei leader. La stupidità, concludono i due studiosi, oggi si è insinuata anche a livello strutturale nelle aziende, creando la “corporate stupidity”. Le società guardano solo alla propria cultura aziendale, portando i dipendenti ad avere una visione limitata e parziale del mondo.
Sembra proprio che per avere successo nel mondo del lavoro si debba essere stupidi.