Gli italiani vogliono più negozi sotto casa. Non solo per comodità e scelta, ma perché le attività di quartiere sono considerate veri e propri presidi sociali: favoriscono la socialità (64%), migliorano la cura degli spazi pubblici (62%) e aumentano la sicurezza (60%). Bar, ristoranti e negozi sono ritenuti elementi chiave della qualità della vita urbana, accanto a spazi verdi e servizi pubblici.
Secondo l’indagine Confcommercio-SWG, la chiusura dei negozi incide anche sul mercato immobiliare: un appartamento in un’area ricca di negozi vale mediamente il 23% in più, mentre nei quartieri colpiti dalla desertificazione commerciale il valore cala fino al 16%, con differenziali che possono arrivare al 39%.
La percezione negativa delle chiusure è netta: l’80% degli italiani prova tristezza di fronte a saracinesche abbassate, e il 73% associa la scomparsa delle attività al calo della qualità della vita. Negozi di libri, articoli sportivi e giocattoli, abbigliamento e ferramenta sono tra i più notati in diminuzione.
Nonostante la crescita dell’e-commerce, due terzi degli italiani desiderano un mix di negozi piccoli e medi per ridurre spostamenti e aumentare la scelta, con punte del 75% nelle città del Sud e medio-piccole. Bar e pubblici esercizi rimangono preferiti per gli acquisti di prossimità, mentre supermercati e grandi superfici dominano per alimentari a lunga conservazione.
La pressione turistica e gli affitti brevi sono percepiti come fattori che penalizzano i negozi tradizionali: il 50% degli intervistati associa gli affitti brevi all’aumento dei prezzi per i residenti e il 42% a una minore disponibilità di abitazioni.
In sintesi, il commercio locale non è un retaggio del passato, ma un’infrastruttura sociale che garantisce vitalità urbana, identità e accessibilità, elementi indispensabili per quartieri vivibili e attrattivi.