Al 1° gennaio 2024 la popolazione residente in Italia è pari a 58 milioni 990mila unità (dati provvisori),
in calo di 7mila unità rispetto alla stessa data dell’anno precedente (-0,1 per mille abitanti).
Confermando quanto già emerso nel 2022 (-33mila unità) prosegue il rallentamento del calo di
popolazione che, dal 2014 al 2021 (-2,8 per mille in media annua), ha contraddistinto il Paese nel suo
insieme.
La variazione della popolazione nel 2023 rivela un quadro eterogeneo tra le ripartizioni geografiche.
Nel Mezzogiorno la variazione è negativa, peraltro consistente nella misura del -4,1 per mille. Nel Nord,
invece, la popolazione aumenta del 2,7 per mille. Stabile quella del Centro (+0,1 per mille).
A livello regionale, la popolazione risulta in aumento soprattutto in Trentino-Alto Adige (+4,6 per mille),
in Lombardia (+4,4 per mille) e in Emilia-Romagna (+4,0 per mille). Le regioni, invece, in cui si è persa
più popolazione sono la Basilicata (-7,4 per mille) e la Sardegna (-5,3 per mille).
Con appena 379mila bambini venuti al mondo, il 2023 mette in luce l’ennesimo minimo storico di
nascite, l’undicesimo di fila dal 2013. Un processo, quello della denatalità, che dal 2008 (577mila
nascite) non ha conosciuto soste. Calano anche i decessi (661mila), l’8% in meno sul 2022, dato più in
linea con i livelli pre-pandemici rispetto a quelli che hanno caratterizzato il triennio 2020-22. Da quanto
detto sopra emerge un saldo naturale ancora fortemente negativo (-281mila unità).
Le iscrizioni dall’estero (416mila) e le cancellazioni per l’estero (142mila) determinano un saldo
migratorio con l’estero positivo di 274mila unità. In tali condizioni, che consentono di compensare quasi
totalmente il deficit dovuto alla dinamica naturale con una dinamica migratoria favorevole, la
popolazione residente ha la possibilità di rimanere, almeno sul piano numerico, in sostanziale equilibrio.
I trasferimenti di residenza tra Comuni hanno coinvolto un milione e 444mila cittadini, in diminuzione
rispetto al 2022 (-1,8%).
La popolazione residente di cittadinanza straniera al 1° gennaio 2024 è di 5 milioni e 308mila unità, in
aumento di 166mila individui (+3,2%) sull’anno precedente. L’incidenza sulla popolazione totale tocca
il 9%. Il 58,6% degli stranieri, pari a 3 milioni 109mila unità, risiede al Nord, per un’incidenza dell’11,3%.
Altrettanto attrattivo per gli stranieri è il Centro, dove risiedono un milione 301mila individui (24,5% del
totale) con un’incidenza dell’11,1%. Più contenuta la presenza di residenti stranieri nel Mezzogiorno,
897mila unità (16,9%), che raggiunge un’incidenza appena del 4,5%.
Prosegue la riduzione della popolazione di cittadinanza italiana (53 milioni 682mila unità), 174mila in
meno rispetto al 1° gennaio 2023 per una variazione pari al -3,2 per mille. In relazione alle diverse
dinamiche demografiche che distinguono il Centro-nord dal Mezzogiorno, in termini di nascite, decessi
e trasferimenti di residenza, tale variazione si concentra nel Mezzogiorno, ben 126mila italiani residenti
in meno (-6,6 per mille). Nel frattempo, sfiora le 200mila unità il numero di cittadini stranieri che nel
2023 hanno acquisito la cittadinanza italiana, dato in linea con l’anno precedente (214mila), pur se in
parziale calo.
Meno di un figlio per donna in Sardegna
Il Trentino-Alto Adige, con un numero medio di figli per donna pari a 1,42, continua a detenere il primato
della fecondità più elevata del Paese, sebbene sia tra le regioni con la variazione negativa maggiore
rispetto al 2022 (1,51). Seguono Sicilia e Campania, con un numero medio di figli per donna
rispettivamente pari a 1,32 e 1,29 (contro 1,35 e 1,33 nel 2022). In queste tre regioni le neo-madri
risultano mediamente più giovani che nel resto del Paese: 31,7 anni l’età media al parto in Sicilia; 32,2
anni in Trentino-Alto Adige e Campania.
La Sardegna continua a essere la regione con la fecondità più bassa. Stabilmente collocata sotto il
livello di un figlio per donna per il quarto anno consecutivo, nel 2023 si posiziona a 0,91 figli (0,95 nel
2022). La precedono altre due regioni del Mezzogiorno: la Basilicata, dove il numero medio di figli per
donna scende da 1,10 nel 2022 a 1,08 nel 2023; il Molise rimasto stabile a 1,10. La Sardegna e la
Basilicata sono, insieme al Lazio, le tre regioni in cui il calendario riproduttivo risulta più posticipato, con
età medie al parto rispettivamente pari a 33,2, 33,1 e 33 anni.
Nel panorama generalizzato di una fecondità bassa e tardiva, estesa a tutte le aree del Paese, con
differenze lievi tra le tre ripartizioni, si evidenziano condizioni di eterogeneità, anche all’interno di una
stessa ripartizione geografica. Nel Mezzogiorno, ad esempio, coesistono regioni con più alta fecondità
(Sicilia, Campania e Calabria) e regioni con livelli minimi (Sardegna, Basilicata e Molise). Nel Nord, tre
regioni su quattro del Nord-ovest (Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Liguria, Piemonte) evidenziano una
fecondità al di sotto della media nazionale (1,20 figli per donna), mentre tutte quelle del Nord-est ne
evidenziano una al di sopra. Più coeso il Centro, dove solo le Marche, con un tasso di 1,17 figli (unica
a presentare un minimo vantaggio rispetto all’1,16 del 2022) si distingue leggermente da Toscana,
Lazio e Umbria (1,12, 1,11 e 1,10 figli rispettivamente).
Scendendo a livello provinciale, il più alto numero medio di figli per donna si registra nella Provincia
Autonoma di Bolzano/Bozen (1,56), che presenta però una significativa discesa rispetto al 2022 (era
1,64). Seguono le Province di Gorizia (1,42), Palermo (1,39), Reggio Calabria (1,37), Ragusa (1,36) e
Catania (1,36). Tutte le Province sarde, ai minimi nazionali, presentano una fecondità inferiore al figlio
per donna: da quelle di Cagliari e del Sud Sardegna (0,86 per entrambe) a quelle di Oristano (0,93),
Sassari (0,95) e Nuoro (0,99). A queste seguono la Provincia di Massa Carrara (1,02), nel Centro, e
quella di Verbano-Cusio-Ossola (1,06), nel Nord.
Il Mezzogiorno e le Aree interne perdono più popolazione
Il processo di invecchiamento si riverbera in maniera eterogenea nel territorio e presenta caratteristiche
contrapposte sia lungo il gradiente Centro-nord e Mezzogiorno, sia nel confronto tra Aree interne e
Centri, individuati dalla Strategia Nazionale delle Aree Interne (SNAI), sulla base della distanza
dall’offerta di servizi essenziali (scuole, ospedali, trasporti). Le Aree interne sono caratterizzate, nel
lungo periodo, da un progressivo invecchiamento e declino della popolazione che rischiano di
esasperare gli elementi di fragilità già presenti in questi territori.
Al 1° gennaio 2024 la popolazione delle Aree interne, che presenta un’età media pari a 47,1 anni, è più
anziana di sette mesi rispetto a quella dei Centri. Alla stessa data, la quota di popolazione giovanile
(0-14 anni) nelle Aree Interne è uguale all’11,8%, inferiore di 0,5 punti percentuali rispetto a quella dei
Centri. Il divario è maggiore per la quota di popolazione ultrasessantacinquenne: oltre 1 punto
percentuale a sfavore delle Aree Interne, che presentano un valore del 25,2% contro il 24,1% dei Centri.
In modo combinato con l’invecchiamento della popolazione, nelle Aree Interne si osserva anche un
calo demografico maggiore rispetto ai Centri. Nel corso del 2023 la popolazione delle Aree interne è
diminuita complessivamente di 32mila unità (-2,4 per mille) rispetto al 2022, con marcate differenze da
Nord a Sud del Paese. Le Aree interne del Centro-nord, infatti, risultano stabili rispetto all’anno
precedente (+3mila residenti, +0,6 per mille), grazie a un moderato guadagno di popolazione dei
Comuni Intermedi (+4mila residenti, +0,9 per mille), mentre i Comuni Periferici e Ultraperiferici della
ripartizione evidenziano un leggero calo di popolazione, pari a poco più 500 residenti (-0,3 per mille).
Inoltre, su un totale di 2.116 Comuni appartenenti alle Aree interne del Centro-nord, poco più della metà
(52,6%) ha sperimentato un calo di popolazione.
Le Aree interne del Mezzogiorno, invece, evidenziano una perdita complessiva pari a circa 35mila
residenti (-4,9 per mille), più consistente soprattutto nelle zone periferiche e ultraperiferiche
(rispettivamente, -18mila e -4mila), con variazioni relative pari a -6,1 e -8,3 per mille rispetto all’anno
precedente. Complessivamente, il calo della popolazione nelle Aree interne del Mezzogiorno ha
interessato quattro Comuni su cinque.
Un gradiente tra Centro-nord e Mezzogiorno si evidenzia anche nei Centri della classificazione SNAI:
la stabilità della popolazione nell’insieme di questi Comuni rispetto all’anno precedente (+0,5 per mille)
è il risultato della variazione positiva dei Poli e delle Cinture del Centro-nord (+2,1 per mille) e di un calo
di popolazione in quelli del Mezzogiorno (-3,6 per mille).
TESTO INTEGRALE E NOTA METODOLOGICA
Fonte: Istat