Un nuovo studio realizzato con la collaborazione della Fondazione CMCC mette in luce il ruolo decisivo delle città nella lotta agli sprechi alimentari e nel contribuire a raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile. Un metodo per valutare le politiche e le iniziative sullo spreco alimentare urbano e le loro connessioni con gli obiettivi di sviluppo sostenibile, potenzialmente applicabile a qualsiasi altra città.
Se si considerano gli impatti sull’ambiente, lo spreco alimentare rappresenta fino al 10% delle emissioni globali di gas serra, mentre l’impronta idrica annuale della fase agricola dello spreco alimentare è di 250 Km3, pari a cinque volte il volume del lago di Garda e più alta di qualsiasi impronta idrica nazionale legata ai consumi alimentari. In Europa, con 88 milioni di tonnellate di cibo sprecato ogni anno, 173 kg a testa, si stima che il 15% degli impatti totali sull’ambiente della catena di produzione del cibo siano attribuibili proprio agli sprechi alimentari.
Le città si stanno affermando come attori chiave nella lotta allo spreco alimentare dove si concentra oltre la metà della popolazione mondiale, e dove viene consumato tra il 70% e l’80% delle risorse alimentari prodotte, ed è qui che si stanno sperimentando una serie di azioni per rendere più sostenibile il sistema alimentare.
Prendendo in esame 40 città europee in 16 diversi Paesi, uno studio pubblicato di recente sulla rivista Resources – Special issue Food Loss and Waste: The Challenge of a Sustainable Management through a Circular Economy Perspective presenta una metodologia per valutare le politiche e le iniziative delle città per la lotta allo spreco.
“Il problema dello spreco alimentare è riconosciuto come una delle più gravi distorsioni dell’attuale sistema di produzione del cibo”, spiega Marta Antonelli, senior scientist presso la Fondazione CMCC e Direttore Ricerca di Fondazione Barilla. “Parliamo di distorsione perché, a fronte di una perfetta edibilità del cibo, si osservano spesso perdite nelle prime fasi della filiera alimentare, nel tragitto tra il campo e la vendita al dettaglio, oppure sprechi, nelle ultime, a livello di vendita al dettaglio e di consumo, con significativi impatti a livello economico, sociale e ambientale. Anche senza considerare l’emergenza COVID-19, che ha aggravato la situazione, ogni anno il 14% circa dei prodotti alimentari va perso prima di raggiungere il mercato; i motivi sono molteplici e spaziano dai problemi alle infrastrutture, vizi di manipolazione, inadeguatezza delle modalità di trasporto, condizioni meteorologiche estreme, fino a problemi nello stoccaggio e conservazione dei prodotti, che colpiscono soprattutto i cibi più deperibili, come frutta e verdura. Per quanto riguarda invece lo spreco ‘a valle’, imputabile ai consumatori o agli addetti al servizio della ristorazione, le ragioni sono di tipo comportamentale e hanno a che fare con la particolare relazione che abbiamo col cibo.”
“Le città possono andare a incidere direttamente su tanti settori o elementi del sistema alimentare urbano, che poi determinano le dimensioni della sicurezza alimentare per i cittadini, spiega M. Antonelli, Come? Attraverso l’azione sui mercati rionali, le mense scolastiche e caritatevoli, gli incentivi per ridurre gli sprechi. Milano, ad esempio, ha ridotto la tassa sui rifiuti a chi dimezzava i propri livelli di spreco alimentare, e si è impegnata con tutta una serie di azioni a dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030.”
Attraverso un’analisi della letteratura del settore, gli autori dello studio hanno cercato di delineare una mappa di quelle che sono le iniziative a livello urbano per la lotta allo spreco alimentare. L’analisi mette in luce anche come molte città (Bari, Bologna, Milano, Torino, Genova, Venezia e Cremona) stiano utilizzando la lotta allo spreco per andare ad alleviare la povertà alimentare e l’esclusione sociale delle fasce più vulnerabili della popolazione, attraverso sistemi di donazione delle eccedenze di cibo, o la creazione di nuove opportunità di lavoro nell’economia circolare.
“Se andassimo a vedere le azioni che i diversi comuni italiani hanno intrapreso sul sistema alimentare, sottolinea M. Antonelli, vedremmo che le azioni sono molteplici; quello che è ancora raro, è una gestione integrata del cibo, dal campo alla tavola, fino alla gestione del rifiuto. In molte città si assiste alla nascita di nuovi organismi di supporto, i cosiddetti “Food Policy Council”, esperienze partecipative, bottom up e multi-attoriali, che hanno avuto un ruolo importante anche nel creare quelle reti di advocacy che hanno richiesto al sistema istituzionale locale un approccio al cibo diverso, più sostenibile e integrato.”
“È essenziale infine”, conclude M. Antonelli, “che le politiche messe in campo dalle città per la lotta allo spreco alimentare siano in linea con gli obiettivi definiti dall’Agenda 2030, in quanto i legami con gli obiettivi di sviluppo sostenibile sono molteplici, ma solo in pochissimi casi (Cremona, Liège, Milano e Montpellier) il riferimento è esplicito e diretto.
Le città sono attive in ambiti diversi del sistema alimentare, ma manca una visione integrata, che metta in luce il fatto che se agisco sullo spreco alimentare posso anche indirizzare e intercettare altri obiettivi, come quelli di produzione agricola, attraverso una gestione circolare, o lavorare sull’esclusione socio-economica e sulla povertà alimentare. In questo senso la strategia ‘Farm to Fork’ rappresenta il primo passo a livello europeo e internazionale per mettere sullo stesso piano aspetti del sistema alimentare che finora erano sempre stati trattati separatamente, partendo dal mettere sullo stesso piano salute umana e sostenibilità.”
Fonte: Fondazione CMCC