“Per creare valore pubblico, la PA deve innanzitutto investire sulle proprie persone. Deve diventare più giovane, più qualificata, libera di misurare e valutare il personale, capace di premiarlo e motivarlo, agendo sulla cultura dei dipendenti e ripensando i modelli organizzativi. Per fare questo, le amministrazioni devono definire le risorse umane necessarie sulla base di una programmazione dei fabbisogni secondo principi qualitativi e prospettici, non quantitativi o legati all’organico storico. Devono attrarre i migliori talenti e dare possibilità di crescita con una politica di employer branding, un miglioramento dei salari medi e un nuovo approccio di sviluppo del personale”. Queste le parole di Carlo Mochi Sismondi, Presidente di FPA, a commento della ricerca sul pubblico impiego realizzata da FPA e presentata ieri in occasione della conferenza di apertura di FORUM PA 2019.
Ecco i principali risultati della ricerca
Per l’effetto combinato di varie misure di riduzione della spesa degli ultimi anni, tra pensioni di vecchiaia, “opzione donna”, pensioni anticipate e “quota 100” (per cui si contano già 41mila domande, che potrebbero arrivare a 100mila entro l’anno) circa 500mila dipendenti pubblici nell’arco dei prossimi 3-4 anni avranno maturato i requisiti per ritirarsi dal lavoro, ma potranno essere sostituiti da nuovo personale grazie allo sblocco del turn over di compensazione al 100% (secondo cui, le PA potranno reinvestire sui nuovi assunti ciò che risparmiano con i pensionamenti). Un ricambio che comporterà nell’immediato qualche problema di gestione dell’uscita per settori in sottorganico come sanità e scuola (per cui solo per requisiti anagrafici si stima il pensionamento in 3-4 anni rispettivamente di 100mila e 204 mila persone), per i comuni e per gli enti che non rispettano il pareggio di bilancio, ma che rappresenta una straordinaria opportunità di rinnovamento per una PA sempre più anziana, in cui l’età media del personale è di 50,6 anni, e sale oltre i 54 anni nei Ministeri, alla Presidenza del Consiglio, nelle Prefetture o negli Enti Pubblici non economici. Gli over 60 sono il 16,4% e gli under 30 solo il 2,8%.
Una PA poco qualificata, in cui ciascun dipendente ha usufruito mediamente solo di 1,04 giornate di formazione l’anno, mentre gli investimenti per l’aggiornamento si sono dimezzati in 10 anni (da 263 milioni di euro nel 2008 a 147 nel 2017). E molto “precaria”, con 340mila lavoratori flessibili nel 2017, di cui sono stati stabilizzati solo lo 0,6% nell’ultimo anno. La forza lavoro però non è troppo abbondante: con 3,2 milioni di persone, l’Italia ha il 70% dei dipendenti pubblici rispetto alla Germania, il 65% rispetto all’Inghilterra, il 60% della Francia e il personale si è ridotto di quasi 200mila unità in 10 anni (-5,6%). Se però non si modificheranno le modalità di ingresso, gestione e sviluppo del personale, la sostituzione di mezzo milione di persone rischia di non essere una reale opportunità di rinnovamento, ma una “rottamazione” agevolata con l’uscita di competenze e esperienze preziose.
Il calo del personale
Il personale della PA ammonta oggi a 3,2 milioni di persone, in dieci anni si contano quasi 200.000 persone in meno (-5,6% rispetto al 2008). Le amministrazioni più colpite sono state le Regioni e autonomie locali (87mila dipendenti in meno), la sanità (43mila) e i ministeri (33mila). In Italia 13 lavoratori su 100 lavorano nel pubblico, 7 persone in meno rispetto alla Francia dove gli impiegati pubblici sono 20 su 100. Se volessimo raggiungere le dotazioni organiche stimate come adeguate a i carichi di lavoro attuali servirebbe assumere in più oltre 250 mila persone.
La spesa
Nel 2018, secondo i dati del DEF 2019, la spesa per lavoro dipendente della PA è di 171,8 miliardi di euro, 5miliardi in più del 2017 (+3,1%) dovuti principalmente a rinnovi contrattuali, con la stima di un aumento tendenziale fino al 2022 in cui si sfioreranno 175 miliardi di euro. Ma dal 2007 al 2017, tra rinnovi contrattuali congelati, limitazione del turn over e blocco ai riconoscimenti economici per le progressioni di carriera, erano stati risparmiati 7,5 miliardi. Nel confronto internazionale, l’Italia è sotto i livelli dei Paesi europei con sistemi comparabili per investimento sul personale PA: la Francia spende 283 miliardi di euro, la Germania 236, il Regno Unito 217, solo la Spagna è inferiore con 121, vicini alla media EU 28 (129 miliardi). Ciascun dipendente in Italia costa in media 49.000 euro l’anno, meno dei 50.000 dei francesi e tedeschi, più di quelli inglesi 43.000 e spagnoli 40.000.
Gli stipendi
La retribuzione media dei dipendenti pubblici (dati 2016) è di 34.500 euro, sostanzialmente invariata dal 2009, ma con oltre 3.000 euro in meno rispetto al solo recupero del potere d’acquisto. Sono forti le differenze tra i comparti andando dai 138mila euro per la magistratura, ai 28,4mila per il personale della scuola.
L’invecchiamento
L’età media dei dipendenti pubblici a fine 2017 è di 50,6 anni. Nel 2001 era 43,5, un invecchiamento medio di oltre 7 anni. Le limitazioni al ricambio di personale degli anni passati hanno prodotto uno spostamento verso età più elevate e gli over 60, che erano il 4% nel 2001, sono il 16,4% nel 2017 e i giovani sotto i 30 che erano oltre il 10% nel 2001 sono il 2,8% e praticamente tutti nelle forze armate (tra i 2000 dipendenti della Presidenza del Consiglio se ne conta uno solo). Ma lo sblocco del turn over di compensazione (a invarianza di spesa) non basterà a far ringiovanire la PA: da un’analisi della Ragioneria dello Stato, per abbassare di un solo anno l’età media servirebbero 9,7 miliardi di euro e assumere 205 mila giovani.
Pensione e Quota100
Al 2019 il personale stabile della PA che ha compiuto 62 anni è di oltre 500.000 persone (il 16,7% del totale) e circa 154 mila persone hanno maturato oltre 38 anni di anzianità. Per “Quota100” le domande pervenute all’INPS da personale PA sono 41.033 (il 33,4% del totale) e si stima possano salire a 90/100 mila nell’anno. Guardando solo il requisito anagrafico, si stima un’uscita di 100 mila personale dalla sanità e 204 mila nella scuola nell’arco di 3-4 anni da dover sostituire con turnover 100%.
La formazione
Negli ultimi 10 anni è cresciuto del 24% il numero di laureati nella PA: nel 2017 sono 1,3 milioni e rappresentano il 39,4% del totale (scendono al 32,3% non considerando la scuola). Ma nello stesso periodo l’investimento in formazione si è quasi dimezzato (-46%): ammonta a 49 euro per dipendente pubblico, in media solo 1,04 giorni di formazione l’anno.
Controlli e Smart Working
Dai dati del Dipartimento della Funzione Pubblica, negli ultimi anni sono cresciuti i provvedimenti disciplinari nella PA, passati dai 8.259 casi del 2015 ai 10.250 nel 2018, che hanno portato ogni anno a circa 2000 sospensioni e licenziamenti. Nel 2018 i licenziamenti disciplinari sono stati 104 in più del 2015, in totale nel quadriennio sono state licenziate per ragioni disciplinari 1332 persone, nella maggior parte (32%) per assenze ingiustificate o non comunicate nei termini prescritti. Dall’altro lato, cresce il lavoro agile nella PA: secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano le iniziative di smart working strutturate passano dal 5% all’ 8% in un solo anno e diminuisce il numero di chi si dimostra totalmente disinteressato passando dal 12% al 7%.
Cosa fare?
“Va rivisto il sistema di entrata e modificato il sistema attuale di valutazione delle performance, a cominciare dalla fissazione degli obiettivi, divenuti mero adempimento – è il commento di Gianni Dominici, Direttore Generale di FPA –. Ma soprattutto, serve la partecipazione attiva degli impiegati pubblici attraverso azioni di empowerment e di engagement perché possano sentirsi partecipi dello sforzo e del raggiungimento dei risultati”.
“In Italia la spesa pubblica pesa il 50 per cento del PIL – dice Andrea Rangone, Ceo di Digital360 -: una PA efficiente, motivata e sempre più digitale è indispensabile per consentire un vero ammodernamento e rilancio dell’intero Paese”.
Fonte Forum Pa