La Corte Europea ha bocciato la proroga automatica decisa dall’Italia per le concessioni demaniali marittime e lacustri fino al 31 dicembre 2020. Le concessioni sulle spiagge italiane vanno messe a gara.
Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza che riunisce due cause che vedono opposti dei gestori di bagni a enti locali, in Lombardia e Sardegna (Promoimpresa srl contro il Consorzio dei Comuni della sponda bresciana del lago di Garda e del lago di Idro ed altri e Mario Melis ed altri contro il Comune di Loiri Porto San Paolo, in Gallura, provincia di Sassari, ed altri).
La Corte di giustizia dell’Unione europea dà voce e corpo alla paura più grande dei balneari italiani: in una sentenza, attesissima dagli operatori della categoria, boccia il rinnovo automatico concesso dal governo italiano, e stabilisce che il rilascio di autorizzazioni relative allo sfruttamento economico del demanio marittimo e lacustre deve essere soggetto a una procedura di selezione tra i candidati. Non solo: le aste devono essere imparziali, trasparenti e adeguatamente pubblicizzate.
Per la Corte, il diritto dell’Unione è contrario alla possibilità che le concessioni per l’esercizio delle attività turistico-ricreative nelle aree demaniali marittime e lacustri siano prorogate in modo automatico, in assenza di qualsiasi procedura di selezione dei potenziali candidati. La proroga, prevista dalla legge italiana, per i giudici di Lussemburgo, impedisce di effettuare una selezione imparziale e trasparente dei candidati alla gestione del servizio.
“Il governo ha lavorato intensamente in questi mesi per predisporre le basi e i principi di riordino dell’intera materia – afferma il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Enrico Costa – Dovranno essere tutelati gli investimenti e valorizzate esperienza e professionalità di coloro che rappresentano le colonne portanti del turismo balneare del nostro Paese. Questi principi, che troveranno attuazione in prossime misure normative, sono del tutto compatibili con i dettami della sentenza della Corte Ue”.
La direttiva servizi (direttiva 2006/123/Ce del 12 dicembre 2006) stabilisce la libertà di stabilimento e i principi di non discriminazione e di tutela della concorrenza. L’articolo 12, in particolare, disciplina il caso in cui, tenuto conto della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato. In questo caso, si prevede che gli Stati possano subordinare un’attività economica a un regime di autorizzazione.
In Italia la normativa ha disposto una proroga automatica e generalizzata della scadenza delle concessioni, rilasciate anche senza alcuna procedura di selezione; l’ultima volta è stata rinviata alla fine del 2020. Nonostante la legge, ad alcuni operatori privati è stata negata la proroga della concessione; hanno quindi fatto ricorso e i giudici italiani si sono rivolti alla Corte di Giustizia dell’Ue per avere chiarimenti sulla compatibilità della normativa italiana con il diritto dell’Ue.
Con la sentenza, la Corte stabilisce anzitutto che tocca ai giudici italiani stabilire se le concessioni italiane debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità di risorse naturali. Nel caso in cui la direttiva sia applicabile, la Corte precisa che il rilascio di autorizzazioni relative allo sfruttamento economico del demanio marittimo e lacustre deve essere soggetto ad una procedura di selezione tra i candidati, che deve essere imparziale, trasparente e adeguatamente pubblicizzata.
La proroga automatica delle autorizzazioni non consente di organizzare una procedura di selezione, come sarebbe necessario. E’ vero che la direttiva consente agli Stati di tenere conto, nello stabilire la procedura di selezione, di motivi imperativi di interesse generale, come, in particolare, la necessità di tutelare il legittimo affidamento dei titolari delle autorizzazioni in modo che possano ammortizzare gli investimenti.
Tuttavia, queste considerazioni non possono giustificare una proroga automatica, qualora al momento del rilascio iniziale delle autorizzazioni non sia stata organizzata alcuna procedura di selezione. La direttiva impedisce, pertanto, in assenza di qualsiasi selezione, la proroga automatica delle autorizzazioni. La Corte precisa, infine, che, nel caso in cui la direttiva non fosse applicabile e qualora una concessione simile presenti un interesse transfrontaliero certo, la proroga automatica della sua assegnazione a un’impresa con sede in uno Stato membro costituisce una disparità di trattamento a danno delle imprese degli altri Paesi Ue e potenzialmente interessate a tali concessioni, disparità di trattamento che è contraria alla libertà di stabilimento.
Il principio della certezza del diritto, che mira a consentire ai concessionari di ammortizzare i loro investimenti, non può essere invocato per giustificare una tale disparità di trattamento, dal momento che le concessioni sono state attribuite quando già era stato stabilito che tale tipo di contratto comportava un obbligo di trasparenza.