In tanti Comuni italiani i conti non tornano. Napoli, Roma, Torino e molte altre città si ritrovano sommerse dai debiti.
Tra i Comuni sopra i 250 mila abitanti, solamente Napoli ha chiesto l’attivazione delle norme salva-bilanci, ma a breve la lista potrebbe allungarsi e includere altre grandi città aggravando la situazione già critica. Alla fine del 2016, infatti, uno studio della Fondazione nazionale dei commercialisti, dimostrava che in Italia si contavano ben 107 enti in dissesto e 151 in predissesto, poi saliti, secondo la contabilità dell’Ifel (Istituto per la finanza locale che fa capo all’Anci), a quota 163.
A questi elenchi vanno poi sommati altri 67 Comuni che, sempre a fine 2016, risultavano ‘deficitari’, ovvero a un passo dal default perché non rispettavano una serie di precisi parametri economici. “Non so se la situazione stia peggiorando – commenta il sindaco di Catania, Enzo Bianco, che presiede il Consiglio nazionale dell’Anci e che da tempo segue le trattative col Governo su questi temi – certamente però non sta migliorando”.
La lista degli enti in crisi, tuttavia, oltre a tanti piccoli municipi, concentrati per il 68,7% nel Mezzogiorno, conta due città con più di 250 mila abitanti (Napoli e Catania) e altri 9 capoluoghi (Savona, Pescara, Rieti, Benevento, Caserta, Foggia, Cosenza, Reggio Calabria e Messina). Ai quali vanno ad aggiungersi una serie di Province: Asti, Novara, Verbania, Varese, Imperia, La Spezia, Ascoli, Chieti, Potenza e Terni. In totale è interessata una popolazione pari a 4 milioni e 330 mila residenti.
Tutti questi enti, in virtù della legge entrata in vigore nel 2012, sono riusciti ad evitare il dissesto vero e proprio grazie al contributo dello Stato che, attraverso un fondo di rotazione, consente loro di evitare la bancarotta e continuare a pagare stipendi ed erogare servizi. Di contro, però, gli enti beneficiari sono sottoposti a un severo piano di riequilibrio pluriennale sotto la stretta vigilanza della Corte dei Conti che, di norma, porta l’ente ad aumentare le tasse, tagliare all’osso tutte le spese e dismettere immobili e quote societarie.
“La disciplina degli enti in dissesto e predissesto è vecchia, risale a prima della riforma del bilancio e dei criteri di finanza locale e andrebbe rivista – segnala Bianco – Si tratta di un tema delicato che abbiamo già posto all’attenzione del Governo e, in parte, già affrontato positivamente: occorre infatti superare il paradosso in base al quale a causa di una serie di formalismi i Comuni in predissesto che stanno attuando comportamenti virtuosi sono più penalizzati di quelli in dissesto. Per questo serve una revisione organica della materia che, da un lato, obblighi i Comuni spendaccioni a cambiar strada, ma al tempo stesso consenta di aiutare gli enti che stanno cambiando strada rispetto agli errori del passato. Spero tanto che prima che si chiuda la legislatura si possa trovare una soluzione”.