Le nostre città sono più di un semplice sfondo: sono elementi attivi che modellano il nostro benessere fisico, psicologico e sociale. Strade, piazze e parchi possono favorire l’incontro, l’inclusione e perfino la creatività. Da questa consapevolezza nasce il Placemaking, un approccio urbanistico che sposta il focus dalle infrastrutture alle persone, puntando a trasformare gli spazi comuni in luoghi amati, vivi e attrattivi.
A differenza della pianificazione tradizionale, il Placemaking è un metodo che ascolta le comunità, coinvolge i cittadini nella definizione degli spazi e valorizza le culture locali per generare vitalità e senso di appartenenza. L’architetto e urbanista Valeria Lorenzelli, autrice del libro ‘Placemaking. Creare luoghi vivi, amati, attraenti’, spiega che questa disciplina, nata negli Stati Uniti negli anni ’60, arriva per “guarire i luoghi” che non hanno una loro bellezza intrinseca, spesso periferie o aree con problemi economici. Oggi, la necessità di utilizzare queste tecniche è molto più forte.
Un metodo più “italiano” per l’equità urbana
Nel suo lavoro, Lorenzelli propone un “metodo più ‘italiano'” basato su logiche olistiche che non si limitano all’architettura. Per una riqualificazione sana, occorre ragionare su tanti livelli. Il risultato desiderato include elementi di equità urbana, come l’accesso ai servizi, in particolare per i bambini e le persone fragili.
La dimensione sociale deve collegarsi all’approccio fisico: i cittadini, insieme al terzo settore e al volontariato, hanno un ruolo fondamentale. Solo così si può interagire e godere della qualità diffusa degli spazi. La Lorenzelli sottolinea: “Il benessere di una persona è maggiormente garantito in un ambito comunitario e l’arte, quando viene inserita negli spazi pubblici, ci permette di avere una qualità urbana molto più diffusa: l’opera d’arte fisica porta benefici del tutto intangibili, che riguardano la salute dei singoli”.
Esempi di successo tra New York e Milano
In questo contesto, l’arte gioca un ruolo cruciale. Un esempio di trasformazione riuscita è il progetto Eyeline a New York, che ha riqualificato un quartiere degradato e un vecchio tratto ferroviario in disuso. Oggi, in ogni angolo ci sono spazi per cinema, yoga e balli latino-americani, dimostrando come l’arte supporti la dimensione sociale della riqualificazione.
Riflettendo sul contesto italiano, Lorenzelli analizza il potenziale di Milano. Il quartiere UpTown, all’ingresso sud di Expo 2015, rappresenta un modello positivo: lì è stato progettato un parco da 30 ettari al centro di due ali residenziali, dove l’arte, tramite murales e laboratori culturali, permea tutte le attività e facilita l’integrazione di persone con storie diverse. Al contrario, l’area della Bicocca evidenzia un limite: all’interno della progettazione, molti isolati sono stati pensati come grandi funzioni separate, il che conferisce un effetto un po’ astratto all’intero quartiere.