Una recente ordinanza della Cassazione (Sezione T, n. 8604/2025) interviene a chiarire i termini della contestazione, da parte del contribuente, delle copie fotostatiche degli atti di notifica prodotti dall’agente della riscossione in giudizio.
Non basta il “non è conforme”
La Suprema Corte ha stabilito un principio importante in materia di prova civile e di notifica della cartella di pagamento: quando l’agente della riscossione produce in tribunale una copia fotostatica (ad esempio, della relata di notifica o dell’avviso di ricevimento), il contribuente che intende disconoscerne la conformità all’originale non può limitarsi a un generico “mero disconoscimento”.
Secondo l’orientamento della Cassazione, per rendere valida la contestazione, il contribuente ha l’onere di specificare le ragioni per cui ritiene la copia difforme dall’originale, come previsto dall’articolo 2719 del codice civile.
L’onere della prova e l’articolo 2719 del codice civile
L’ordinanza chiarisce dunque che, per superare la presunzione di conformità tra la copia e l’originale – soprattutto se la copia dell’atto di notifica reca il numero identificativo della cartella – è necessario qualcosa di più di una semplice negazione. Il contribuente deve indicare in modo puntuale le asserite difformità, ad esempio evidenziando anomalie, cancellazioni o alterazioni che farebbero dubitare della fedeltà del documento riprodotto.
In assenza di tale specificazione, il disconoscimento è considerato insufficiente e la copia fotostatica prodotta dall’agente della riscossione mantiene il suo valore probatorio, con il conseguente rigetto dell’impugnazione. La pronuncia si pone in linea con precedenti giurisprudenziali della stessa Cassazione in materia.
Fonte: Rassegna mensile della
giurisprudenza civile della
Corte di cassazione