Filippo Bernocchi, delegato Anci Energia e Rifiuti, è intervenuto al convegno Italgrob (Federazione Italiana Distributori Bevande): “beverage, le prospettive sul futuro”, svoltosi nel corso della quinta edizione dell’International Horeca Meeting di Roma. Sui temi del convegno abbiamo rivolto al delegato alcune domande relative al ruolo dellAnci e alla questione del Vuoto a rendere .
Qual è stata l’utilità del convegno?
Il convegno è stato molto interessante, un incontro con una realtà che probabilmente non immaginavo neanche perché i numeri presentati. Sono, sinceramente, numeri impressionanti, ma soprattutto è impressionante la rete della distribuzione in Italia, altamente professionale e ricca di interlocuzioni con i territori e con le amministrazioni, perché quotidianamente questa rete composta da migliaia di distributori lavora su migliaia di territori comunali. Inevitabile lo scontro con migliaia di problemi, basti citare il problema per l’accesso alle ztl, soprattutto ora che siamo chiamati a ridurre pesantemente le emissioni. Poi c’è il problema delle polveri sottili, se avessimo un accordo nazionale per utilizzare solo veicoli elettrici per il trasporto delle merci nei centri storici sarebbe una cosa eccezionale, ma chiaramente non sarà possibile su tutto il territorio nazionale. Ci hanno proposto anche un’interessante collaborazione per la valorizzazione dei prodotti legati al territorio, andando a realizzare un mercato a km zero che, oltre a valorizzare le nostre merci, ridurrebbe le emissioni.
Il vuoto a rendere come s’inserisce all’interno della prassi dei Comuni italiani?
Rispetto ad altri Paesi, come la Germania, dove il Vuoto a rendere costituisce il sistema principale attraverso il quale viene declinato il principio di responsabilità del produttore, l’Italia ha declinato tale principio in maniera diversa con Consorzi obbligatori e raccolta degli imballaggi in privativa al sistema dei Comuni. Oggi, i Comuni hanno raggiunto obiettivi importanti in termini di riciclo e oltre un terzo ha conseguito con ben sei anni di anticipo l’obiettivo del 50% di effettivo riciclo. Alcune filiere, come quella del vetro, rappresentano già esempi virtuosi di economia circolare e le aziende italiane hanno smesso da tempo di importare rottami di vetro dall’estero. Aspettiamo dunque di vedere i risultati della sperimentazione prevista nell’emanando decreto attuativo e auspichiamo, ancor prima, che il tempo che ci separa dalla emanazione di questo provvedimento venga utilizzato per aprire tavoli di confronto e di approfondimento con il sistema dei Comuni e con tutti gli attori della filiera, per arrivare a una piena condivisione dello stesso decreto. Dobbiamo ricordare che in Italia il vuoto a rendere è stato introdotto, in via sperimentale, soltanto su due categorie merceologiche, bottiglie di acqua e bottiglie di birra, per un periodo di 12 mesi, con un decreto che dovrà essere emanato entro novanta giorni. L’Anci, pur apprezzando il provvedimento, è sempre stata prudente, per non abbandonare il principio di responsabilità del produttore. Il legislatore italiano non ha immaginato il sistema del vuoto a rendere quando è stata recepita la prima direttiva imballaggi nel 97’. Il sistema dei consorzi obbligatori ha dato ottimi risultati in Italia, perché in Italia non ci sono solo le situazioni disperate del sud, ma ci sono delle città all’avanguardia in Europa. Guardiamo anche a livello metropolitano, Milano con la raccolta dell’organico, e tutte le realtà del centro nord raggiungono obiettivi sinceramente invidiabili a livello europeo a un costo talvolta inferiore alle migliori performance degli altri Paesi come la Germania e l’Austria.
A che punto è il protocollo d’intesa tra Anci ed Italgrob?
Sono già stati fatti un paio d’incontri tecnici, ora ci rivedremo a partire dalle prossime settimane. Ci è stato presentato un pacchetto di quattro proposte, tutte condivisibili. L’idea è quella di vederci al più presto per buttare giù un protocollo d’intesa che possa dare attuazione a tutti i punti condivisibili. Ho apprezzato la cautela con la quale è stata scritta la norma, nel senso che andiamo verso una sperimentazione e poi si vedrà. Però il sistema, secondo me, va visto nel suo complesso, se io riduco, ad esempio, il volume di vetro che va al riciclo, probabilmente le vetrerie italiane dovranno cominciare a importare il vetro rottamato dall’estero, come facevano dieci anni fa. Quindi, ci vuole un po’ di cautela, bisogna avere una visione d’insieme. Sicuramente è un sistema che riduce alla fonte la produzione di rifiuti, però va visto all’interno di un disegno organico. Lo stesso tema dei rifiuti è diviso in 3 dicasteri e manca questa visione organica. Poi, bisogna capire se l’amministrazione comunale ha la voglia e la capacità di giungere a un risparmio misurabile in termini di minori quantità di rifiuti prodotti, e questo, naturalmente, non può essere deciso a livello nazionale, ma deve essere visto solamente a livello locale, quindi lasciando alla libera iniziativa dei Comuni, che noi naturalmente possiamo incoraggiare.
Cos’è cambiato con il decreto Calderoli?
La mancanza di organicità sul tema è emersa con l’adozione del provvedimento Calderoli, con il quale sono state abolite le ATO, stazioni appaltanti che dovevano appaltare il servizio per conto dei Comuni. In Italia c’è stato uno stop alle gare durato almeno cinque anni, e quindi immaginiamoci che danno si è fatto. Era inserito in un decreto sulle semplificazioni o sulla spending review, ed è sembrato a tutti sacrosanto, fatto sta che a ricaduta ogni Regione ha dovuto rilegiferare e ha rifatto le ATO tali e quali e senza stipendio. In Toscana dove siamo stati bravi e veloci ci sono voluti almeno quattro anni.