L’orizzonte smart è stato ormai assunto dalla maggior parte delle metropoli e delle città del pianeta come paradigma del proprio sviluppo. Eppure, non esiste neppure una nozione scientificamente certificata e condivisa della nozione di “smart city”. Ogni realtà, infatti, fa per conto proprio declinando il concetto in base alle esigenze e ai contesti specifici. Del resto, non basta applicare una serie di tecnologie innovative al tessuto urbano per potersi autodefinire “città intelligente”. Come scrive Chiara Bellucci in un dettagliato resoconto sull’esperienza di Barcellona, “realizzare una Smart City va ben oltre l’installazione di sensori sparsi nella città e l’utilizzo dei data analytics per guidare le scelte di efficientamento delle infrastrutture. Una città che mira a diventare intelligente deve in primis preoccuparsi di creare una strategia di sviluppo urbano che sappia mettere al centro le persone in quanto cittadini e utenti dei servizi pubblici offerti. L’innovazione deve passare in prima battuta da un’analisi approfondita dei bisogni dell’uomo e delle necessità da soddisfare, poiché solo così essa può contribuire al miglioramento collettivo della qualità della vita in città”.
In altre parole, si potrebbe affermare che l’essenza della smart city è la pianificazione strategica, mediante la quale coordinare e armonizzare in una prospettiva di medio-lungo periodo progetti e interventi innovativi finalizzati alla costruzione di uno spazio urbano ecosostenibile al cui interno la vita quotidiana dei cittadini raggiunga livelli alti di qualità. Impresa ambiziosa che ha visto Barcellona impegnata con successo grazie a un’originale cocktail di idee e di realizzazioni implementate a partire dal 2012. Un esempio per tutti: il modello dei Superblock che la rende un caso studiato e ammirato anche da diverse metropoli americane. Si tratta di un progetto di urban design che mira a ridurre in modo sensibile il traffico, l’inquinamento ambientale e in senso lato il modo di vivere la città, favorendo così uno sviluppo urbano incentrato maggiormente sui pedoni, che possono usufruire dei luoghi pubblici e sfruttare i servizi, creando così un vantaggio economico anche per le attività commerciali del territorio. Il modello prevede di dividere la mappa della città in quadrati che raccolgono 9 blocchi abitativi ciascuno e limitare il traffico stradale all’interno di queste zone, creando linee metropolitane e parcheggi sotterranei che liberano spazio in superficie, garantendo al contempo la possibilità di spostarsi in modo rapido tra le diverse aree della città. Il modello, sperimentato a partire dal quartiere Eixample, che possiede una conformazione particolarmente adatta a una suddivisione planimetrica di questo tipo, si è rivelato di successo sotto tutti gli aspetti ed è stato quindi esteso ad altre zone della città, dimostrando di essere un’opzione valida anche in contesti diversi.
La formula magica che lanciato la capitale catalana sul palcoscenico internazionale si avvale anche di un altro ingrediente fondamentale, come segnala Francesca Bria, Chief Technology Officer della città: “Il popolo deve avere la possibilità di far sentire la propria voce e di partecipare in modo co-creativo allo sviluppo di progetti a favore della Smart City. Il concetto infatti rischia spesso di essere snaturato ed essere associato esclusivamente a un monopolio dei dati che rimane quasi sempre in mano ad aziende private, che sfruttano le informazioni raccolte sullo stile di vita delle persone per aumentare i ricavi e gonfiare i profitti. Una vera Smart City, invece, è quella che mette i dati in mano ai propri cittadini, che comunica e condivide le informazioni in modo trasparente e ingaggia le persone negli obiettivi di sviluppo urbano. Un concetto che può essere ben riassunto nell’espressione «Sovranità tecnologica del popolo», e che ha portato Barcellona a focalizzare i propri investimenti sulle priorità votate ed espresse innanzitutto dai cittadini: l’edilizia residenziale popolare, la mobilità sostenibile, l’aumento degli spazi verdi e lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile”.
Innovazione e partecipazione, dunque, sono i pilastri della versione catalana di smart city. Caratteristiche che Bellucci approfondisce e illustra con chiarezza: “Uno degli aspetti che rende la città degna di nota, è la capacità di investire in modo molto bilanciato in progetti che affrontano tematiche diverse. Dalla mobilità all’ambiente, Barcellona vanta un buon livello di welfare economico accompagnato al contempo da un pari livello di coesione sociale, sintomo che le politiche promosse dal Governo riescono davvero a valorizzare le istanze dei cittadini e renderli protagonisti della loro città. Sono molte infatti le metropoli a livello internazionale che vantano performances eccellenti su alcune dimensioni specifiche, ma che ottengono risultati deludenti su altre. Barcellona, stando alla classifica Cities in Motion, rientra tra i Challengers, cioè quelle città come anche Milano, Helsinki e Francoforte, che in pochi anni sono riuscite a scalare la classifica… grazie al suo modello di governance urbano che punta alla democratizzazione e al coinvolgimento delle persone nei processi decisionali”.