La crisi economica ha dato un colpo durissimo al tessuto commerciale delle città, lascia sul campo dei caduti soprattutto i negozi tradizionali, quelli dei dettaglianti di vicinato, mentre vede una ripresa soprattutto nel campo ricettivo e turistico: bar, ristoranti, alberghi e attività collegate. Non saranno solo quelle a risollevare (si spera) l’economia dei centri urbani italiani, ma di certo gli ancora fragilissimi equilibri sociali e occupazionali si reggono sempre più su questo tipo di attività.
Meno commercio tradizionale, dunque, più ristorazione e turismo: ristoranti, take away, cibo da strada, bed and breakfast. Quella in atto nelle città italiane è una vera e propria metamorfosi, a danno dei negozi tradizionali (tessili, abbigliamento, calzature) che vanno via via scomparendo.
Secondo l’analisi dell’Ufficio Economico Confesercenti, elaborato a partire dai dati Istat e dalle rilevazioni dell’Osservatorio su Commercio e Turismo dell’associazione, la grande recessione – scoppiata a fine agosto di dieci anni fa – ha trasformato profondamente il volto del commercio, modificando la composizione delle attività urbane e scambiando le vetrine dei negozi con pub, bar, ristoranti e attività turistiche.
Dal 2007 a oggi, rileva Confesercenti, sono scomparse oltre 108mila imprese del commercio in sede fissa, il 15% del totale. Attività che sono state parzialmente ‘sostituite’ da pubblici esercizi e attività ricettive (+63mila, per un incremento del 16,6%).
La riduzione dei negozi non ha colpito in egual misura tutte le tipologie di impresa. Sono state infatti le imprese attive nel commercio di tessili, abbigliamento e calzature a pagare lo scotto più alto: dal 2007 se ne contano circa 40mila in meno. Giù anche i negozi di ferramenta e materiali per costruzioni (-9.834) e giornali (-3.926), mentre, tra i dati positivi, si segnala l’aumento del numero di tabaccherie (+4.749) e dei negozi di informatica e telecomunicazioni (+2.216) e, soprattutto, delle attività commerciali fuori dai mercati e dai negozi: le imprese di commercio porta a porta, online e vending machine sono oltre 18mila in più, con una crescita di oltre l’82,5%. A scendere invece, nonostante la crescita degli ultimi anni, anche il numero di ambulanti (-17.587). A dare un colpo al commercio, oltre la recessione, è stato anche il regime di deregulation dei giorni e degli orari di apertura introdotto a partire da gennaio 2012 dal Governo Monti.
Per Confesercenti, “una liberalizzazione insostenibile per i piccoli, e che ha favorito solo la grande distribuzione, la cui quota di mercato nel periodo è passata dal 57,7 al 60,2%”. Sul fronte dei pubblici esercizi e del turismo, invece, si assiste ad una forte crescita di quasi tutte le tipologie. Dal 2007 ad oggi aumentano i ristoranti sia le imprese di ristorazione (+55mila, per un incremento del +16,8%) che gli hotel e le altre attività ricettive (+7.139 imprese, con una variazione positiva del +14,9%).
Particolarmente rilevante la crescita di b&b e affittacamere: solo negli ultimi cinque anni hanno registrato un incremento del 56%, e si prevede che, da qui al 2021, il numero sia destinato a salire ancora del 23%. Una piccola rivoluzione con il proliferare di imprenditori in questo comparto.
“Mentre il dinamismo del settore turistico e dei pubblici esercizi è evidente – commenta la Presidente della Confesercenti Patrizia De Luise – il commercio continua a soffrire, schiacciato da una parte da una ripresa della spesa delle famiglie che tarda ad arrivare, ma anche da un trasferimento delle quote di mercato dai piccoli alla Grande distribuzione organizzata dovuto in primo luogo alla liberalizzazione, insostenibile per le imprese familiari e che deve essere ripensata. Incide, chiaramente, anche l’evoluzione tecnologica, come dimostra l’aumento di negozi web e di imprese che si occupano di distribuzione commerciale tramite vending machine.
Un cambiamento dovuto alle modificate abitudini, ai diversi stili di vita, alla “composizione” dei nuclei famigliari, al lavoro “sempre meno fisso e stabile”, ai pasti sempre più consumati al di fuori delle mura domestiche, all’avvento di internet e dell’online, ma anche al fatto che la piccola impresa, quella famigliare, quella che ha reso la nostra rete commerciale la più bella e più varia del pianeta ha subìto e pagato, con l’impossibilità di automantenersi, le politiche di liberalizzazione e la mancanza di una vera politica di sostegno. E’ il segno che la ripresa del commercio deve passare attraverso il sostegno dell’innovazione: misure vere, inserite nel quadro di Impresa 4.0, che permettano di modernizzare, più che di sanzioni per la mancanza del Pos. Perdere le attività di vicinato sarebbe un danno per tutti, non solo per i commercianti: i negozi sono infatti un elemento fondamentale per la qualità della vita dei cittadini e per il valore turistico e la fruibilità del territorio. Lo diciamo da anni: se vive il commercio, vivono le città”.