Nell’intervento tenuto ieri al Senato, alla vigilia del terzo Consiglio Ue che si terrà oggi a Bruxelles, Matteo Renzi ha provato ancora una volta a incalzare le istituzioni europee: “Senza risposte politiche su migranti e crescita, la Ue è finita. Perchè sulla crisi migratoria le decisioni non vengono attuate e perchè sulla crescita non può bastare il bazooka mensile della Bce”. Oltre ad affrontare gli scottanti temi della gestione dei flussi migratori, della lotta al terrorismo e della flessibilità negli investimenti, Tuttavia, il premier si è anche soffermato sulle problematiche relative allo sviluppo del Paese. “Abbiamo una grande questione relativa a investimenti e infrastrutture – ha sottolineato – Negli ultimi anni l’Italia ha perso delle posizioni: fino al 2006-2007 l’Italia investiva fino a 40 miliardi di euro sulle infrastrutture pubbliche. Si può discutere di quanto questi investimenti fossero corretti o meno, di quanta necessità vi fosse d’interventi diversi, ma il dato di fatto era che l’Italia investiva… mentre oggi l’Italia è posizionata più o meno a metà: 20 miliardi di euro. Chiaramente questo spiega innanzitutto la necessità del Paese di raggiungere la crescita degli altri sulla base del Pil. Nel passaggio da 40 a 20 miliardi c’è più di un punto di Pil che se ne è andato per mille motivi, ad esempio, quando si sono operati i tagli agli enti locali. E gli enti territoriali, anche comprensibilmente (non dobbiamo certo gettare loro la croce addosso), hanno preferito effettuare tagli sulla strada da rimettere a posto di lì a tre anni che non sui servizi, perché tagliare i servizi crea un problema di consenso. Non sto dicendo niente di particolarmente visionario, è la realtà. È chiaro che un Comune cui si tagliano dei fondi preferisce ridurre le spese per investimento che non quelle per servizi. È accaduto a Comuni di sinistra, di centro, di destra, a Comuni leghisti.
È del tutto naturale e fisiologico – ha proseguito – che questo si sia poi verificato in virtù anche di alcune strozzature nel sistema della pubblica amministrazione italiana: penso al dissesto idrogeologico, alle bonifiche, alle opere incompiute. Se si hanno miliardi di euro fermi perché non si riesce a far partire dei lavori, in quanto per ogni bando di gara ci sono tre ricorsi, è del tutto logico e fisiologico che quei soldi, in teoria appostati, non vengano spesi.
Pertanto, la doppia operazione consiste nello sbloccare gli investimenti e la parte infrastrutturale per i Comuni (questa è stata l’operazione del 2016 con la sostanziale fine del Patto di stabilità) e per la pubblica amministrazione, mandando finalmente a gara il maggior numero possibile di opere. Noi non siamo andati soltanto sul cantiere della Salerno-Reggio Calabria, ma anche, ad esempio, a dire che la strada statale jonica 106 deve essere mandata a gara subito, o più correttamente deve essere sbloccata subito, perché in quel caso c’è già stata una gara. Questo ragionamento vale anche per i miliardi di euro bloccati in Sicilia nelle strade, ma anche per il dissesto idrogeologico o per le bonifiche, in alcuni casi anche private”.