Il “diritto di accesso” e il “diritto all’informazione” dei consiglieri comunali trovano la loro disciplina specifica nell’art. 43, comma 2, del D.Lgs. 267/2000 che testualmente dispone: “I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del Comune e della Provincia, nonché delle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del loro mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”. Tali diritti, di portata molto ampia e non condizionata, non soggetti a onere motivazionale, aventi a oggetto ogni documento, notizia e informazione in possesso dell’Ente (amministratori e dipendenti), sono valorizzati dalla giurisprudenza e dalla dottrina in quanto hanno l’obiettivo di mettere in condizione il consigliere comunale e provinciale di esercitare il proprio mandato e di verificare il comportamento degli organi istituzionali e decisionali del Comune (e della Provincia) che dev’essere improntato al principio della trasparenza. Ciò premesso, il quesito rivolto da un Comune al servizio Anci risponde riguarda proprio la circoscrizione del perimetro di questo diritto di accesso. In altre parole, i suoi limiti e l’ampiezza di esso, poichè la stessa giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di evidenziare che alcuni limiti all’esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali si possono rinvenire:
a) nel fatto che esso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative;
b) nel fatto che esso debba avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali.
La giurisprudenza ha anche ribadito, tuttavia, che il diritto di accesso del consigliere comunale non può subire compressioni di sorta per pretese esigenze di natura burocratica dell’Ente, tali da ostacolare l’esercizio del suo mandato istituzionale – la richiesta (qualora essa sia di una certa gravosità, sia organizzativa che economica per gli uffici comunali) va esaudita secondo i tempi necessari per non determinare interruzione alle altre attività di tipo corrente” (cfr., fra le molte, Cons. Stato, sez. V, 22.05.2007 n. 929). In tal caso, quindi, l’istanza non va respinta, ma, entro termini ragionevoli dev’essere evasa. Ogni altra decisione potrebbe essere “ostruzionistica” del diritto di accesso del Consigliere.
Insomma, occorre sempre trovare un equilibrio per superare ogni eventuale forma di ostruzionismo che, a seconda delle circostanze, potrebbe configurarsi vuoi a carico dell’Ente vuoi a carico del Consigliere richiedente.
Considerando i diversi aspetti di questa complessa materia, gli esperti di Anci Risponde richiamano
il Parere del Ministero dell’Interno del 12 Maggio 2006 che metteva in evidenza la presenza di due orientamenti giurisprudenziali definiti «in qualche modo difformi», in merito alla definizione delle «modalità utili sia a garantire l’esercizio pieno del diritto d’accesso dei consiglieri comunali, che a non creare intralcio all’ordinario espletamento dei compiti istituzionali dell’ente». Da un lato, infatti, si registra un orientamento secondo cui «il diritto di accesso ai documenti amministrativi non può concretarsi nell’obbligo per la pubblica amministrazione di svolgere attività di ricerca, di indagine, o di ricostruzione storica ed analitica dei procedimenti con un aggravamento dello svolgimento delle attività istituzionali» (C.d.S. 438/1998, 976/1994; Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, pareri 526/1998, 593/1999 e 106/2002). S’iscrive a tale orientamento – ricordano gli esperti – il C.d.S. 846/2013, secondo cui «anche a voler ritenere che la nozione di “notizie e informazioni” sia più lata della nozione di “documenti” ravvisabile nell’art. 22 della l.n.241 del 1990 … il rimedio dell’ accesso non può essere utilizzato per indurre o costringere l’Amministrazione a formare atti nuovi rispetto ai documenti amministrativi già esistenti, ovvero a compiere un’attività di elaborazione di dati e documenti, potendo essere invocato esclusivamente al fine di ottenere il rilascio di copie di documenti già formati e materialmente esistenti presso gli archivi dell’Amministrazione che li possiede».
Viceversa si registra un altro orientamento giurisprudenziale secondo cui «in materia di accesso ai documenti amministrativi da parte dei consiglieri comunali i documenti e le informazioni possono essere frutto di un’attività istruttoria degli uffici al fine di relazionare su una determinata “materia o affare”, con la conseguenza che tale diritto può anche consistere nella pretesa che gli uffici dell’Amministrazione, interpellati al riguardo, eseguano elaborazioni dei dati e delle informazioni in loro possesso in evidente contrapposizione al divieto di elaborazione previsto dalla L. n. 241/1990» (C.d.S. 4471/2005) e «il limite di natura organizzativa non può essere eccepito dall’Amministrazione a ragione del diniego dell’accesso, proprio perché la “difficoltà organizzativa” rientra tra quegli adempimenti a carico di ogni Amministrazione pubblica e quindi ogni singola struttura dovrà dotarsi di tutti i mezzi necessari all’assolvimento dei loro compiti» (C.d.S. 2716/2004).
Volendo tentare di portare il più possibile a sintesi i due orientamenti sopra esposti – osservano gli esperti – al fine di contemperare le differenti esigenze e di tenere un atteggiamento prudenziale rispetto alle rivendicazioni dei consiglieri, pare opportuno prevedere, in sede regolamentare o nella prassi applicativa, il riscontro positivo alle istanze di accesso dei consiglieri comunali, anche allorché le informazioni richieste siano presenti in fonti documentali diverse, rientranti nella disponibilità dell’amministrazione, e anche se, per la complessità e la diversificazione delle fonti, sia necessaria per il reperimento, un’attività d’istruzione e indagine, volta al rintracciamento e alla messa a disposizione del consigliere, con modalità tali da renderle intelligibili.
Sotto questo profilo – conclude Anci Risponde – si può infatti osservare che la circostanza che le informazioni richieste siano “sparpagliate” in una pluralità di diverse fonti documentali, non può tradursi in un impedimento all’accesso dei consiglieri.
Per contro, tale attività d’istruzione e d’indagine non deve estendersi allo svolgimento di adempimenti di studio e di ricerca che a loro volta possano integrare attività gestionali e amministrative: ad esempio non è evidentemente possibile richiedere che l’amministrazione effettui sopralluoghi, richieda documenti a enti terzi, effettui operazioni di calcolo statistico, analisi storica o scientifica o effettui una «rielaborazione logico-conclusiva», se per tale s’intende una attività di sistematizzazione alla luce di criteri logici e sistematici precostituiti, richiesti dal consigliere. Quanto sopra – aggiungono gli esperti – andrà effettuato tenendo conto del fatto che, come precisato dalla giurisprudenza, il consigliere comunale non può abusare del diritto all’informazione riconosciutogli dall’ordinamento, piegandone le alte finalità a scopi meramente emulativi o aggravando eccessivamente, con richieste non contenute entro gli immanenti limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la corretta funzionalità amministrativa, incidendo in termini rilevanti sulle spese generali dell’Ente. Di conseguenza, dovrà quindi essere valutata caso per caso l’eventuale natura emulativa e strumentale dell’istanza, che potrà in tali casi essere respinta.