I destini del Paese sembrano appesi ai denari che dovremmo ricevere dal Recovery Fund, ma le cose sono più difficili di quanto sembri. La procedura di acquisizione delle risorse, i fantomatici 200 mld, è complessa e farraginosa, anche quando la Ue promette un anticipo del 10% della somma totale. Basta ascoltare le parole di un autorevole portavoce della Commissione di Bruxelles:
“In linea con le conclusioni del Consiglio europeo, nel contesto del Recovery Fund (Recovery and resilience Facility), è possibile il pagamento di un pre-finanziamento del 10% del contributo finanziario per ciascuno Stato membro, con l’approvazione del piano” di riforme “e l’adozione dell’impegno legale della Commissione, posto che tutte le condizioni siano soddisfatte e tutti i passi legali siano stati completati per allora”. Ciò sebbene tutti gli Stati membri siano stati incoraggiati a presentare i propri piani entro il 15 ottobre, per avviare uno scambio con la Commissione europea ed evitare ingolfamenti. I piani, tuttavia, saranno considerati presentati formalmente solo dal primo gennaio 2021. C’è da chiedersi, a proposito, a che punto è il nostro piano di riforme?
Recepiti i documenti dei singoli Paesi, l’Esecutivo comunitario avrà fino a due mesi per esaminare le proposte e presentare la sua valutazione al Consiglio, per l’approvazione. Per l’esborso del 10% occorrerà inoltre che sia concluso il processo di ratifica presso i Parlamenti nazionali e sia stata avviata la raccolta di risorse sui mercati finanziari. Tutto ciò premesso, se ne deduce che qualche soldo arriverà non prima della Primavera inoltrata dell’anno prossimo. Nel frattempo, il Belpaese dovrà fare da solo, Covid permettendo. Auguri!