La morsa del credit crunch non si allenta e continua a pressare le Pmi. A segnalarlo è l’Ufficio studi della Cgia a seguito dell’elaborazione dei dati della Banca d’Italia. Nel 2018 in alcune regioni, come Lombardia e Piemonte, i prestiti sono tornati ad avere segno positivo e questo potrebbe autorizzare a pensare che il peggio sia passato. Ma è la stessa Associazione artigiani e piccole imprese ad aggiungere che tante sono state le realtà penalizzate dalla restrizione dell’offerta da parte degli istituti di credito. In un quadro generale negli ultimi sette anni, il Molise ha registrato la contrazione più importante con -38,3 per cento (pari a – 735 milioni di euro). A seguire troviamo le Marche con il -36,8 per cento (- 9,4 miliardi), il Lazio con il -35,8 per cento (-39 miliardi) e con la stessa percentuale anche la Calabria (con una riduzione in termini assoluti pari a 2,8 miliardi di euro).
Nel 2018, invece, la stretta più importante si è verificata in Umbria (-3,7 per cento pari a -350 milioni), in Sicilia (-3,3 per cento che ha contribuito a ridurre gli impieghi di 611 milioni) e in Toscana (-3,1 per cento pari a -1,5 miliardi di euro). Sempre lo scorso anno in altre regioni è stato registrato un aumento degli impieghi vivi rispetto al mese di novembre 2017: Trentino Alto Adige (+7 milioni), Basilicata (+57 milioni), Friuli Venezia Giulia (+90 milioni), Lombardia (+156 milioni), Valle d’Aosta (+174 milioni) e Piemonte (+1 miliardo).
“E’ vero – ha detto il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo – che la domanda di credito da parte delle imprese è diminuita sia in termini di qualità che di quantità. Inoltre, non va nemmeno dimenticato che le sofferenze bancarie hanno assunto dimensioni preoccupanti, inducendo molte banche a chiudere i rubinetti del credito o a concedere i prestiti a condizioni più rigide. Tuttavia, la contrazione registrata in questi ultimi anni è stata eccessiva, soprattutto nei confronti delle piccole realtà produttive che, tradizionalmente più solvibili delle altre imprese, sono state, invece, le più penalizzate”.
Le ditte con meno di 20 addetti, infatti, costituiscono il 98 per cento circa delle aziende italiane e danno lavoro (al netto degli occupati nella Pubblica Amministrazione) a quasi il 60 per cento dei lavoratori presenti nel Paese. Nonostante queste dimensioni, i piccoli imprenditori continuano a ricevere dalle banche solo il 18 per cento circa degli impieghi vivi, contro l’82 per cento che finisce invece nelle casse delle realtà produttive più strutturate che rappresentano il 2 per cento circa dell’intera platea delle imprese presenti in Italia. Nonostante ciò, la stretta creditizia ha penalizzato maggiormente le prime che hanno visto ridursi il flusso di denaro proveniente dalle banche del 29,5 per cento negli ultimi 7 anni (- 51,2 miliardi) e del 2,2 per cento nell’ultimo anno (-2,7 miliardi). Le seconde, invece, hanno subito una riduzione dei prestiti più “morbida”, pari al 26,5 per cento (-201,5 miliardi) nel settennio e dello 0,4 per cento (-2,3 miliardi) negli ultimi 12 mesi. Per delineare risposte che consentano di superare questa situazione “In primo luogo – ha sottolineato il segretario della Cgia, Renato Mason – bisognerà perseguire uno sviluppo economico meno bancocentrico, anche attraverso l’attuazione di politiche pubbliche di sostegno alle imprese, abbassando i costi energetici, favorendo gli investimenti infrastrutturali, riducendo le tasse, tagliando il cuneo fiscale e incentivando l’internazionalizzazione della nostra economia. In secondo luogo, tuttavia, sarà necessario rassicurare gli istituti di credito dal raggiungimento di requisiti patrimoniali eccessivi che sono stati imposti dalle regole europee. In modo tale da rimettere in moto il flusso di denaro verso le imprese, soprattutto di piccola dimensione. Inoltre, le banche dovranno ritornare a gestire i propri bilanci con rigore e sobrietà, recuperando la fiducia dei risparmiatori che in questi ultimi anni, in particolar modo a seguito dei casi Etruria, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, si è notevolmente affievolita”.