Che fine ha fatto il partenariato pubblico-privato, la formula operativa cui molti affidavano la speranza di un rilancio dell’economia a partire dai territori e attraverso l’attivo coinvolgimento di imprese ed enti locali in virtuosa sinergia? Al momento sembra una prospettiva messa in ombra insieme al declino del concetto di privatizzazione tanto in voga in stagioni precedenti che, nel nostro Paese, si è progressivamente caricato di valenze negative. Si è, infatti, affermato, non senza ragioni, un nuovo corso che considera il ruolo dei privati “parassitario” nei confronti delle amministrazioni pubbliche, non accompagnato da quell’autentica efficienza da tanti celebrata. La vicenda del Ponte Morandi ne è l’emblematica sintesi e la tragica rappresentazione. E tuttavia la riflessione sul tema, sebbene in contesti e modalità differenti, non ha perso utilità, anzi presenta un rinnovato vigore. Ne è convinto Guido Castelli, Sindaco di Ascoli Piceno e Presidente dell’Ifel, che ha riaperto il dibattito con un dettagliato articolo ricco di spunti sul blog che cura presso Huffington Post, propedeutico in qualche misura al convegno “La dimensione nazionale e comunale del Partenariato Pubblico Privato”, organizzato dalla stessa Ifel in collaborazione con Cresme Europa Servizi, che si terrà a Roma il 3 ottobre prossimo.
“Iniziamo dicendo che le relazioni tra pubblico e privato possono funzionare se si mettono in campo operazioni costruite e gestite bene, con onestà, competenza e trasparenza. Altrimenti meglio desistere”, esordisce Castelli. E’ quasi una dichiarazione programmatica per il rilancio in grande stile del PPP, cui seguono interessanti dati sulle dimensioni del fenomeno. “Se prendiamo in considerazione le grandi operazioni (sopra i 10 milioni di euro) nel periodo 2008-2017, in effetti, in Italia l’importo totale dei PPP italiani è di 9,29 miliardi, ben lontano dai 28,7 miliardi della Francia e lontanissimo dai 47,1 del Regno Unito – spiega – Se invece guardiamo ai bandi PPP dei Comuni Italiani nel periodo 2002-2017, registriamo più di 24mila bandi per un importo di 35 miliardi di euro. Attraverso il PPP, lo scorso anno i Comuni hanno bandito il 23,9% dei propri lavori e il 56,9% dei servizi”.
Come mai, si domanda il presidente di Ifel, la dinamica del fenomeno si è dimostrata consistente nonostante la congiuntura negativa di quegli anni? Ovviamente, fa notare, non si è trattato soltanto di un modo per eludere il blocco degli investimenti causato dal Patto di stabilità, poiché il trend è proseguito anche dopo che quella sciagurata regola è stata messa da parte. Dunque, c’è qualcosa di più, d’oltre e d’altro, che potrebbe preludere al ritorno di questa formula operativa su larga scala: possibilità di risparmiare risorse per le Pa locali e opportunità di attingere a un patrimonio di know how tecnologico/organizzativo importante, di cui i Comuni necessitano per realizzare al meglio opere e infrastrutture sui propri territori. Competenza e trasparenza sono, però, le precondizioni del successo di ogni PPP – sottolinea Castelli e aggiunge – “La vera questione oggi è mettere in atto meccanismi che assicurino produttività agli investimenti pubblici, sia che vengano realizzati in partenariato con i privati, sia che vengano realizzati con risorse proprie, alla vecchia maniera. L’onere di dimostrare di aver adottato la forma più conveniente attraverso la comparazione tra i diversi strumenti (Public Sector Comparator) non grava solo sulle operazioni di partnership col privato, ma su tutte le forme di procurement. Non c’è dubbio che, rispetto al passato in cui si è formata gran parte del funzionariato tecnico delle nostre amministrazioni, questa esigenza mette in luce la necessità di una più attenta e consapevole funzione di programmazione e di selezione degli strumenti disponibili, che deve operare a regime. Sempre. Eppure, in tutta franchezza, bisogna anche ammettere che si tratta di una sorta di utopia. Nella realtà, i Comuni sono stati lasciati completamente soli, con funzionari invecchiati e sovraccarichi (di lavoro e responsabilità), senza il tempo e l’energia per aggiornarsi con la velocità che servirebbe e, non meno importante. Una condizione che finisce per farli apparire subalterni rispetto ai promoter privati”. Questa l’amara considerazione del presidente di Ifel che, tuttavia, trae motivo di ottimismo dalle anticipazioni al Piano Nazionale delle Riforme aggiornato dal Governo, contenente un giudizio positivo sui PPP ritenuti in grado “di migliorare l’efficienza dell’utilizzo dei fondi pubblici; selezionare e realizzare le opere pubbliche con un più alto tasso di rendimento in termini economici e di benessere dei cittadini; moltiplicare le opere che si possono realizzare nel rispetto dei vincoli di bilanci o grazie all’attrazione di investimenti italiani ed esteri”. Nella stessa direzione va, a parere di Castelli, l’intenzione di rivedere il Codice degli Appalti e di fornire un supporto alle amministrazioni. È un’ottima idea – conclude – ma per realizzarla bisogna avere in testa non solo le poche “grandi opere”, ma le migliaia di operazioni locali. Sono quelli i lavori e servizi in grado di “muovere” il Paese. E di farlo in fretta”.