L’Italia potrebbe non riuscire a raggiungere gli obiettivi Ue per il 2020 sulla banda larga ma, se la sua Strategia del 2015 basata sul modello ‘wholesale’ sarà attuata in modo corretto, potrebbe essere sulla buona strada per centrare gli obiettivi per il 2025 sulla banda ultralarga. Sono le conclusioni a cui è giunta la Corte dei conti Ue (Eca), che ha realizzato un audit sulla diffusione della banda larga nei 28.
“E’ poco probabile che la banda larga” da 30Mbps in Italia “sia disponibile per tutti i cittadini entro il 2020”, nota il rapporto, ma è stato riscontrato “un aumento significativo della copertura sin dal 2011, attraverso una combinazione di investimenti pubblici e privati” e, ha sottolineato la responsabile del rapporto Iliana Ivanova, “se ben attuato, il Piano italiano metterà il Paese in una buona posizione per raggiungere gli obiettivi” per il 2025 della Commissione per una banda ultraveloce dai 100Mbps sino a 1Gbps.
In particolare i revisori Ue hanno evidenziato che in Italia “le autorità hanno deciso nel 2016 di utilizzare il modello di investimento diretto per gli appalti pubblici al fine di dispiegare la banda larga tramite una rete ad accesso libero (wholesale)”, la cui “conseguenza è stata l’aumentato ricorso a soluzioni basate sulla fibra ottica e dell’accesso a infrastrutture e servizi a prezzi accessibili”.
Le autorità italiane hanno infatti effettuato un esercizio di mappatura tra il 2016 e il 2017 e hanno impegnato 3 miliardi di euro per finanziare la banda larga in tutte le zone dove non era conveniente investire sotto il profilo commerciale. E hanno deciso nel 2016 di “utilizzare il modello degli investimenti diretti al fine di creare una rete ad accesso libero wholesale”.
Ruolo chiave per l’attuazione si è quindi dimostrato quello di Infratel, che assicura il coordinamento tra le varie fonti di finanziamento inclusi i fondi Ue. Secondo l’Eca, inoltre, l’Italia così facendo dispone di “un contesto competitivo per la banda larga”, con un “quadro giuridico e concorrenziale adeguato”.