Porti in rivolta contro la Ue. Riunito dal 1994 nella Federazione del Mare, il cluster marittimo italiano guarda con “grande allarme” all’eventualità di una procedura d’infrazione contro l’Italia per la mancata imposizione fiscale sui canoni di concessione e autorizzazione percepiti dagli enti pubblici che amministrano i porti, cioè le Autorità di sistema portuale (fino al 2016, Autorità portuali). “L’incremento di costo che ne deriverebbe – sottolinea la Federazione, che ha diffuso una nota – andrebbe nel senso opposto al recupero di competitività dei porti e avrebbe conseguenze fortemente negative sulle stesse capacità produttive dell’industria nazionale”. La Federazione ricorda nella nota che l’Italia importa oggi per mare attraverso i suoi porti 200 milioni di tonnellate di merci e ne esporta 70 milioni (Eurostat 2016). “A ciò si aggiunge il trasporto marittimo interno di merci, che si situa attorno ai 95 milioni di tonnellate. Complessivamente, per i porti italiani passano annualmente 480 milioni di tonnellate di merci. In questa enorme quantità di merci che si sposta attraverso il sistema marittimo e i porti, ci sono parte delle fonti energetiche fossili, come greggio e gas, e poi merci che interessano direttamente la nostra produzione manifatturiera. Né bisogna dimenticare che il turismo gioca un ruolo chiave nello sviluppo italiano: oggi i movimenti dei passeggeri nei nostri porti superano i 45 milioni, di cui 11 milioni relativi ai crocieristi. Anche questo traffico di persone transita attraverso i nostri porti e i concessionari che vi operano. Non può sfuggire pertanto che aumenti nei costi portuali avrebbero conseguenze del tutto negative sull’andamento dei prezzi e sulla crescita”. Per questo, il cluster marittimo chiede al Governo “un’attenta valutazione politica della questione e una reazione adeguata”.