Il popolare sindaco di Londra, Boris Johnson, considerato un potenziale leader del fronte euroscettico nel Partito Conservatore, rilancia sulla pretesa di restrizioni all’accesso ad alcuni benefit del welfare britannico per gli immigrati provenienti da altri Paesi Ue. E nella sua rubrica settimanale sul Daily Telegraph sollecita il governo a puntare a ottenere su questo punto – nel negoziato con Bruxelles avviato in vista del referendum sulla cosiddetta Brexit – «un opt out» analogo a quello strappato a suo tempo dalla Danimarca per poter vietare la vendita di case ai migranti non residenti. Il sasso nello stagno di Johnson arriva all’indomani delle indiscrezioni dei media secondo cui il primo ministro David Cameron è ormai rassegnato a ritirare la richiesta di esclusione per quattro anni dalla concessione di alcuni sussidi e benefici sociali ai cittadini di altri Paesi europei immigrati sull’isola. Misura che pare insostenibile a livello legale se qualcuno ricorresse alla Corte di Strasburgo denunciandola come discriminatoria, ma che soprattutto è già stata bocciata da un fronte compatto di Paesi dell’Unione, est europeo in testa. Il suggerimento del sindaco per aggirare lo stallo, tuttavia, oltre a tirare in ballo una questione di natura diversa come quella che riguarda il caso danese, sembrerebbe destinato a sfociare in modifiche dei trattati: procedura piuttosto lunga rispetto ai tempi previsti (meno di un anno) per lo svolgimento del referendum sulla permanenza di Londra dell’Ue.