Le aziende familiari italiane vincono il confronto con quelle non a controllo familiare in termini di crescita, di redditività e di creazione di posti di lavoro considerando sia l’ultimo anno sia il medio periodo e tornano a indicatori di performance simili a quelli pre-crisi. Ma c’è il risvolto della medaglia: la sostanziale passività in termini di acquisizioni e l’invecchiamento dei responsabili d’azienda sono campanelli d’allarme per il futuro. A rilevarlo è l’Osservatorio Aub della Bocconi. L’Osservatorio, realizzato da Bocconi, Aidaf, Unicredit e Camera di Commercio di Milano in collaborazione con Borsa Italiana e Allianz, da quest’anno allarga il monitoraggio a tutte le 15.722 aziende con fatturato superiore a 20 milioni di euro, responsabili del 66,5% del valore aggiunto delle imprese italiane attive in industria e servizi e del 33,1% della loro occupazione. Nel periodo 2010-2014 le imprese familiari hanno aumentato il numero di dipendenti del 5,3% medio l’anno, contro l’1,2% delle non familiari. Il trend di crescita del fatturato è allineato a quelle non familiari per quanto riguarda le piccole imprese (20-50 milioni di fatturato), ma sostanzialmente maggiore per quelle medio grandi (più di 50 milioni): fatto 100 il fatturato del 2007, quello del 2014 è stato 126,4 per le non familiari e 133,6 per le familiari. In termini di redditività, invece, i risultati migliori delle imprese familiari riguardano tutte le dimensioni: il Roi è del 7,8% contro 6,8% per le medio-grandi e dell’8,6% contro 7,4% per le piccole. «Dobbiamo però tenere sotto osservazione due segnali», osserva Guido Corbetta, titolare della Cattedra Aidaf-EY, «la scarsa capacità di crescita esterna attraverso acquisizioni e l’elevata età di chi dirige le aziende familiari». Tra il 2000 e il 2014 in fatti solo il 6,7% delle aziende familiari ha realizzato almeno un’acquisizione, contro il 9,1% delle non familiari. Anche gli investimenti diretti all’estero riguardano una minoranza delle imprese, ma in questo caso le aziende familiari (il 29,6% di esse ne ha effettuati) sono più attive di quelle non familiari (21,3%). Più preoccupante il fatto che l’età dei leader delle aziende familiari italiane (amministratori delegati, amministratori unici o presidenti esecutivi, a seconda della governance scelta) sia molto elevata e che con l’età del leader peggiorino le performance aziendali. Il 22,6% dei leader ha più di 70 anni (e un altro 24,6% supera i 60) e solo il 5,3% meno di 40, con le aziende gestite dai più anziani che registrano un Roe inferiore di 0,8-1,2 punti (a seconda della classe dimensionale) rispetto alla media e quelle gestite dai più giovani che hanno un risultato migliore di 1,9-2 punti.