Non si parla dei rinomati acquedotti romani che si sono dimostrati affidabili e duraturi: alcuni si sono mantenuti, infatti, fino alla prima età moderna e altri sono, addirittura, ancora parzialmente in uso. Il problema è la rete idrica attuale.
Investimenti bassi, reti vecchie, infrastrutture da rimettere a posto per colmare il divario con il resto dell’Europa e ritardi nella depurazione delle acque reflue che sono costati varie sanzioni dell’Ue.
”Le reti presentano un elevato grado di vetustà, tanto che il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa oltre 30 anni fa (percentuale che sale al 70% nei grandi centri urbani); il 25% di queste supera i 50 anni (arrivando al 40% nei grandi centri urbani)”. È questa la fotografia impietosa scattata dal ‘Blue Book’ 2017, lo studio sul settore idrico promosso da Utilitalia (l’associazione delle imprese di acqua ambiente e energia), realizzato dalla Fondazione Utilitatis con il contributo di Cassa depositi e prestiti, e presentato qualche giorno fa a Roma. ”Le perdite delle reti degli acquedotti – si legge nella ricerca – hanno percentuali differenziate: al Nord ci si attesta al 26%, al Centro al 46% e al Sud al 45%”.
E’ “prioritario” il fabbisogno di “investimenti sulla ‘depurazione delle acque reflue’. Circa l’11% dei cittadini, infatti, non è ancora raggiunto dal servizio di depurazione”, si legge nel ‘Blue Book’ 2017. “La conseguenza, oltre ad incalcolabili danni per l’ambiente e la qualità delle acque marine e di superficie, è nelle sanzioni europee comminate all’Italia – si osserva nello studio che cita i tre contenziosi a livello europeo del nostro Paese sull’argomento – colpevole di ritardi nell’applicazione delle regole sul trattamento delle acque”. “Complessivamente, con gravità diverse e relative sanzioni differenziate – viene spiegato dal ‘Blue Book’ – sono colpiti 931 agglomerati urbani”, in relazione ai tre contenziosi Ue. La maggior parte di questi sono concentrati “nel Mezzogiorno e nelle Isole e si trovano in territori gestiti direttamente dagli enti locali e non attraverso affidamenti a gestori industriali”.
L’Italia resta ancora uno dei Paesi “con i livelli tariffari più bassi. A livelli internazionale lo stesso metro cubo di acqua che a Berlino costa 6,03 dollari, ad Oslo 5,06 dollari, a Parigi 3,91 e a Londra 3,66 dollari, a Roma si paga soltanto 1 dollaro e 35 centesimi. Nel livello tariffario idrico l’Italia è seconda soltanto ad Atene e Mosca” si legge nel Blue Book.