La mostra che si è aperta, ormai da tempo a palazzo Braschi a Roma, merita sicuramente una riflessione particolare. Artemisia Gentileschi, figlia del pittore Orazio Gentileschi, è stata una delle pittrici italiane più illustri del 1600. Nacque a Roma l’8 luglio1593 e già nel 1609, pur non dipingendo ancora, disegnò le bozze per la Sala del Concistoro del Palazzo del Quirinale.
La prima opera attribuita alla diciassettenne Artemisia è la Susanna e i vecchioni del 1610. Opera di grande talento che spinse il padre, nel 1611 ad affidare all’amico Agostino Tassi il perfezionamento artistico della figlia per quanto concerneva prospettiva e il paesaggio. Ma il Tassi approfittò della situazione e violentò la ragazza.
Del processo che ne seguì (conclusosi con una lieve condanna del Tassi) è rimasta esauriente testimonianza documentale, che colpisce per la crudezza del resoconto di Artemisia e per i metodi inquisitori del tribunale.
È da sottolineare il fatto che Gentileschi accettò di deporre le accuse sotto tortura, consistente nello schiacciamento dei pollici, danno immenso per una pittrice.
Dopo la conclusione del processo, Orazio combinò per Artemisia un matrimonio con Pierantonio Stiattesi, modesto artista fiorentino, che servì a restituire ad Artemisia, violentata, ingannata e denigrata dal Tassi, uno status di sufficiente “onorabilità”.
La cerimonia si tenne il 29 novembre 1612. Poco dopo la coppia si trasferì a Firenze, dove ebbe quattro figli, di cui la sola figlia Prudenzia visse sufficientemente a lungo da seguire la madre nel ritorno a Roma e poi a Napoli.
Nel periodo fiorentino, trascorso nella corte di Cosimo II e della moglie Maria Maddalena d’Austria, Artemisia, si eleva e si affina socialmente e culturalmente.
Emerge negli ambienti di uomini d’ingegno e di raffinati committenti, dal letterato Michelangelo Buonarroti il Giovane (Pronipote del più famoso Michelangelo Buonarroti), allo scienziato Galileo Galilei.
Di questo periodo è da ricordare una delle sue opere più importanti Giuditta che decapita Oloferne. Dopo la morte del marito sposò segretamente il fiorentino Francesco Maria Maringhi, suo amante, da cui ebbe una figlia.
Rimarranno celebri le lettere autografe appassionate che l’autrice inviava a Francesco Maria Maringhi, l’uomo che fu un punto di riferimento sia sentimentale sia professionale.
Quello che traspare dalla mostra è la figura di una donna impegnata a perseguire la propria indipendenza e la propria affermazione artistica contro le molteplici difficoltà e pregiudizi dell’epoca.
Una donna che ha vissuto totalmente la propria dimensione femminile e artistica, lottando per il rispetto, la reputazione, la famiglia, la carriera.
Tra le sue opere più conosciute ricordiamo la Madonna col Bambino, la Conversione della Maddalena, Giuditta che decapita Oloferne, Cleopatra, Ritratto di gonfaloniere, Giuditta e la sua ancella e San Gennaro nell’anfiteatro.