Gli stipendi italiani sono bassi, e inoltre il confronto tra la retribuzione lorda e il netto in busta paga lascia poco spazio ai dubbi. Il peso delle tasse sui salari è altissimo. Lo dice Mario Vavassori, responsabile dell’Osservatorio JobPricing che aggiunge: “L’Italia è il Paese che è cresciuto meno negli ultimi 10 anni. Se da un lato scontiamo un problema fiscale, dall’altro la condizione economica non ci aiuta”.
Anche gli industriali, per spiegare la differenza con il resto d’Europa, puntano il dito contro il Fisco sottolineando che tra il 2000 e il 2014 le retribuzioni lorde sono cresciute del 6,5%, più dell’inflazione. Ma l’effetto, sulle tasche degli italiani, non è stato percepito a causa dell’alto carico fiscale.
In un report di Confindustria, si legge che: “Nel 2014 il costo annuo sostenuto dal datore di lavoro per un dipendente italiano con retribuzione media era pari a 40.150 euro, di cui 29.328 di retribuzione lorda e 10.822 tra contributi Inps e Inail, accantonamenti Tfr e costo di eventuale welfare aziendale. Il lavoratore, invece, ha percepito in busta paga 20.057 euro, al netto di 6.487 euro di imposta sul reddito (comprensiva delle addizionali regionali e locali) e di 2.783 euro di contributi versati all’Inps. Insomma, il costo del lavoro è il doppio della retribuzione netta”.
“In questo modo l’Italia non stimola certo le assunzioni” aggiunge Eva Maggioni, Head of Sales di InfoJobs. “Il tessuto industriale del nostro Paese – prosegue – è fatto di piccole e medie imprese. La figura dell’imprenditore è molto presente e questo spiega come mai gli stipendi, soprattutto nelle posizioni manageriali, non siano così alti come all’estero. Su 1,7 milioni di aziende solo 200mila contano oltre 50 dipendenti, la differenza con il resto d’Europa è in questi numeri”.
Uscire dalla stagnazione si può. Certamente non abbandonando l’euro, “piuttosto – aggiunge Vavassori – dovremmo mettere mano alla pubblica amministrazione. Il controllo dei costi è fondamentale per i conti della Stato, ma stipendi bassi hanno portato il sistema a gravi distorsioni. A cominciare dai pochi controlli fino alla scarsa efficienza. Situazioni che hanno impattato anche le imprese private. Il dramma è tutti sembrano contenti dell’equilibrio raggiunto”.
Secondo Franco Martini, segretario confederale Cgil, il problema è strutturale: “Abbiamo i salari più bassi anche per colpa della struttura del mercato del lavoro. Diminuisce quello tradizionale a tempo indeterminato e aumenta quello saltuario, scandito da contratti precari e voucher. Sono tutte tipologie contrattuali che influiscono sugli stipendi. E poi c’è la questione delle donne che in Italia arrivano a guadagnare il 25% in meno degli uomini a parità di mansioni”, e rilancia così: “Per far salire gli stipendi e i consumi serve una politica di investimenti pubblici e privati. Il governo dovrebbe utilizzare la flessibilità chiesta in Europa non per finanziarie bonus e decontribuzioni, ma per sostenere un piano di sviluppo pubblico: dalle infrastrutture al settore energetico. Con più lavoro avremmo salari più elevati, maggiori consumi a sostegno del Pil. L’economia italiana può ripartire solo con la domanda interna, ma servono risorse”.