Lo definiscono “lavoro accessorio”, ma forse dovrebbe essere chiamato più correttamente “lavoro precario”. E’ quello dei voucher che, complessivamente, da agosto 2008 (inizio della sperimentazione sul loro utilizzo per vendemmie di breve durata) al 30 giugno 2016, ha fatto letteralmente “boom”. Ne risultano venduti 347,2 milioni di importo nominale pari a 10 euro. Lo comunica l’Inps accompagnando il dato con una laconica nota: “La progressiva estensione degli ambiti oggettivi e soggettivi di utilizzo del lavoro accessorio è andata di pari passo con l’aumento della vendita dei voucher che ha segnato un rialzo del 40% solo nei primi sei mesi del 2016, rispetto allo stesso periodo del 2015”. Sotto il profilo retributivo, si evince che la paga ‘tipo’ di chi sia retribuito tramite voucher è molto bassa. La fonte è sempre l’Inps. “Il numero di lavoratori è cresciuto costantemente negli anni, mentre il numero medio di voucher riscossi dal singolo lavoratore, invece, è rimasto sostanzialmente invariato: circa 60 voucher l’anno dal 2012 in avanti – prosegue la nota dell’Istituto previdenziale – poiché l’importo netto che il lavoratore riscuote per ogni voucher è di 7,50 euro. Si ricava che il compenso annuale medio netto negli anni più recenti non è mai arrivato a 500 euro. Il ricorso ai voucher è concentrato nel Nord del paese, dove vengono venduti due ticket su tre, il 66,3%”. Dal 2008 a oggi – sottolinea l’Inps – il Nord-est, con 127,7 milioni di voucher venduti, ha inciso per il 36,8%; mentre il Nord-ovest, con 102,6 milioni di voucher venduti, ha inciso per il 29,5%”.