Il nuovo codice degli appalti è appena entrato in vigore e ha già acceso discussioni, apprezzamenti e critiche. «Il codice appalti è una rivoluzione e scommette sull’Italia migliore». Lo ha affermato, ad esempio, Raffaele Cantone difendendo la riforma dalle obiezioni avanzate da Piercamillo Davigo, presidente dell’associazione nazionale magistrati, nel corso di un dibattito organizzato da Federmanager, per fare il punto della situazione sulle attività dell’anticorruzione. «Il codice – ha spiegato l’ex pm – complica il quadro normativo con una filosofia che però punta a realizzare nuova semplificazione. L’idea che la Pa sia onnipotente – ha ammonito Cantone – è appartenuta troppo tempo a questo Paese. Da oggi, invece, chi vuole fare appalti si deve qualificare, deve essere in grado di provare il proprio know-how. Le stesse capacità saranno richieste anche alle pubbliche amministrazioni: si chiama “qualificazione delle stazioni appaltanti” ed è una rivoluzione difficilissima da realizzare». Entrando nel dettaglio dei meccanismi di gara, il numero uno dell’Anac ha avvertito che bisogna superare la logica del massimo ribasso. «O è un’estorsione o è una truffa», ha sentenziato spiegando che «nel nostro sistema il rispetto della base d’asta è pura teoria». «Il nuovo codice – ha aggiunto – prevede le commissioni di gara estratte a sorte, prevede che le norme attuative non siano fatte più nel gabinetto di un ministro. E le abbiamo scritte in modo colloquiale e a seguito di confronto con stakeholder». Cantone è intervenuto anche sul nodo delle società partecipate spiegando che «il decreto va nella giusta direzione». «Il concetto di società pubblica in sé non è sbagliato», ha argomentato Cantone aggiungendo che «è ora di dire che il pubblico deve uscire dai settori che non hanno niente a che vedere col pubblico». Cantone ha così invocato regole precise ironizzando: «Quante società pubbliche non hanno nemmeno un dipendente, ma 5 consiglieri di amministrazione?».