Roma – La terra che ci nutre è a un punto di svolta. È questo il messaggio centrale che emerge dall’edizione 2025 del rapporto The State of Food and Agriculture (SOFA) della FAO, intitolato “Addressing land degradation across landholding scales”. Il documento fotografa una realtà preoccupante: il degrado del suolo non è più un problema marginale, ma una crisi globale pervasiva che mette a rischio la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza di circa 1,7 miliardi di persone.
Un pianeta a due velocità Il rapporto evidenzia una disparità strutturale nella gestione delle risorse agricole globali. I dati mostrano che, dei circa 570 milioni di aziende agricole nel mondo, l’85% è costituito da piccoli appezzamenti inferiori ai due ettari. Tuttavia, questa immensa schiera di piccoli produttori opera solo sul 9% della terra agricola totale. Al contrario, le grandi aziende (quelle superiori ai 1.000 ettari) rappresentano appena lo 0,1% del totale delle fattorie, ma gestiscono la metà dei terreni agricoli mondiali.
Questa dicotomia impone strategie differenti: i piccoli agricoltori, spesso situati in aree marginali e con scarso accesso al credito, subiscono il degrado come una minaccia diretta alla sopravvivenza. Le grandi aziende, invece, hanno un impatto sproporzionato sull’uso del suolo e, di conseguenza, una responsabilità cruciale nella sua gestione sostenibile.
Il costo nascosto del degrado Il fenomeno colpisce trasversalmente, ma con dinamiche diverse. Nei paesi ad alto reddito, il degrado del suolo viene spesso “mascherato” dall’uso intensivo di input chimici e tecnologici che mantengono artificialmente alti i rendimenti, nascondendo però l’impoverimento della risorsa sottostante. Nei paesi a basso reddito, specialmente nell’Africa subsahariana, la mancanza di accesso a risorse e mercati trasforma il degrado in un fattore di povertà cronica, creando hotspot di vulnerabilità dove la scarsa resa agricola si somma all’insicurezza alimentare.
Evitare, ridurre, invertire La FAO traccia una rotta chiara per uscire dall’emergenza, basata sulla gerarchia della “Land Degradation Neutrality”: evitare il degrado dove possibile, ridurlo dove è in atto e invertirlo dove il danno è già fatto.
Il potenziale è enorme: ripristinare le terre coltivate degradate e recuperare quelle abbandonate potrebbe sfamare centinaia di milioni di persone in più, riducendo la pressione sugli ecosistemi naturali ancora intatti. Tuttavia, la tecnologia da sola non basta. Il rapporto sottolinea l’urgenza di rimuovere le barriere istituzionali: serve garantire la sicurezza del possesso della terra (land tenure) e colmare il divario di genere, dato che le donne continuano ad avere meno diritti sulla terra pur essendo pilastri della produzione agricola.
Il messaggio finale è di speranza, ma condizionata all’azione: se governi e privati sapranno adattare gli incentivi e le regolamentazioni alle diverse scale produttive, l’agricoltura potrà trasformarsi da motore di degrado a forza rigeneratrice.