Ormai da due anni nelle scuole americane non è più previsto l’insegnamento della scrittura corsiva, mentre è richiesta la competenza a utilizzare la tastiera del computer sin dalla scuola primaria. Ben vengano le tecnologie, ma l’apprendimento del corsivo come stile calligrafico che contraddistingue un certo tipo di scolarizzazione e al quale la scuola italiana attribuisce ancora un’importanza rilevante in quanto espressione di valori peculiari non è certo da dismettere.
Negli Stati Uniti la California, la Georgia e il Massachusetts si sono opposti al solo utilizzo della tastiera, mentre gran parte degli altri Stati, tra cui l’Indiana, l’Illinois, le Hawaii hanno lasciato ai distretti scolastici la possibilità di scegliere se insegnare o meno nelle scuole il corsivo. E sono sempre di più i casi in cui i bambini non riescono a decifrare neppure la scrittura dei loro genitori, ma la realtà virtuale fa la parte del leone. E’ trascorso molto tempo da quando erano malvisti gli studenti che in classe tiravano fuori telefoni o computer. Nei soli Stati Uniti, secondo un sondaggio condotto negli ultimi due mesi dalla Compagnia di educazione digitale TES Global, l’84% degli insegnanti al livello K-12 utilizza abitualmente diversi supporti tecnologici durante le lezioni. Mentre nel precedente sondaggio dello scorso anno erano il 35% gli insegnanti che dicevano che la connessione Internet nelle classi poteva essere una distrazione o addirittura una barriera al successo dell’insegnamento. Quest’anno i sostenitori di questa tesi sono scesi al 16%.
Sembra che gli insegnanti si siano evoluti dalla posizione “noiosa tecnofobica, preistorica” divenendo pionieri dell’insegnamento tecnologico, dice il delegato della TES Global, Rob Grimshaw alla rivista Quartz. La rilevazione più interessante di questo sondaggio è che alla domanda: quale tecnologia avrebbero voluto gli insegnanti nella classe nell’immediato futuro, il 24,7% dei 1.000 insegnanti intervistati ha detto di desiderare sistemi incorporati di gioco a fini educativi; il 19 e il 18,7% rispettivamente ha espresso di volere più portatili e più tablet; un altro 10% si è detto convinto che sarebbe interessante introdurre delle maschere per la realtà virtuale. Stiamo parlando delle maschere VR. Ed esistono possibilità stimolanti perché questo genere di supporti venga inserito nei piani scolastici. Google per esempio ha sviluppato una piattaforma che offre diverse esperienze di apprendimento di questo tipo. Una startup con sede nelle Utah ha debuttato recentemente presentando una macchina a realtà aumentata che conduce gli utenti attraverso vari ambienti d’avventura. L’esperienza della realtà virtuale può dare ai ragazzi la possibilità di fare qualsiasi cosa: dal viaggio per terre straniere all’apprendimento delle lezioni di biologia più complesse, lo conferma Anne Quito della Quartz. Insomma ogni giorno può essere un nuovo campo sperimentale.