Opere pubbliche e riqualificazione urbana, un binomio indissolubile che dovrebbe marciare armonicamente producendo risultati concreti. In Italia, però, non è così. Le cose marciano in ordine sparso, confuso e scoordinato, come segnala Raffaele Lungarella in un dettagliato saggio uscito sulla rivista Il Mulino. Non a caso, ricorda l’autore, lo scorso dicembre la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato un decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti contenente le “Disposizioni per il definitivo completamento dei programmi di riqualificazione urbana” (Pru). Siamo finalmente alla stretta finale che dovrebbe rimettere in moto gli interventi di rinnovamento delle città? Forse, il provvedimento non va esattamente in questa direzione. Utile a comprendere come si sia creato l’attuale impasse, l’excursus di normative e di finanziamenti emanati negli anni, ma senza esito positivo, che Lungarella ripercorre nel suo articolo.
“Le opere da completare furono finanziate, con 288 miliardi di lire, ventiquattro anni fa dalla legge n. 179 del 1992 (norme sull’edilizia residenziale pubblica). Quei denari rimettevano in circolo fondi non spesi stanziati con un decreto legge del 1983, cioè 33 anni fa. Per impiegarli, nel dicembre 1994 l’allora ministero dei Lavori pubblici emanò un bando, destinato ai Comuni, per finanziare opere di urbanizzazione primaria e secondaria e interventi di edilizia residenziale e non residenziale per migliorare e riqualificare i contesti urbani. Per la loro realizzazione fu previsto il ricorso all’accordo di programma, una procedura amministrativa utilizzata di norma per accelerare l’avvio dei lavori. I quali, malgrado ciò, non sono ancora tutti iniziati o finiti, sebbene siano già state concesse due proroghe del termine per il loro completamento : nel maggio 2007 fu spostato in avanti di 4 anni e mezzo e poi, nel 2012, fino al 31 dicembre 2014”.
Allungare i tempi non è servito a molto, non certo a sbloccare la situazione. Ecco perchè ora il Ministero ha ritenuto “opportuno accogliere le richieste volte a favorire comunque il completamento e l’avvio di opere pubbliche dotate della necessaria copertura finanziaria nei casi di dimostrata loro cantierabilità in tempi brevi”. Lungarella sottolinea, tuttavia, che il nuovo calendario verrà deciso dagli stessi promotori degli interventi, i quali, con l’approvazione dei cronoprogrammi dei lavori, fisseranno anche le nuove date per la loro conclusione.
E’ palese, dunque, il diffuso ritardo nell’attuazione di molti programmi che si è andato cronicizzando nel tempo. Lo dimostrano i dati ricavabili dallo stesso website del Ministero. Nel 2009 furono ripartiti tra le Regioni circa 200 milioni di euro per la ristrutturazione delle case popolari sfitte e per fronteggiare l’emergenza abitativa. Agli inizi di aprile dello scorso anno solo due Regioni avevano realizzato lavori per almeno il 90% dei finanziamenti ricevuti, dieci non sono arrivate a spenderne il 70%. Sempre allo scopo di fronteggiare l’emergenza, nel 2006 ai Comuni metropolitani furono assegnati 100 milioni per accrescere l’offerta di abitazioni a canoni più bassi di quelli di mercato. “Sei anni dopo (24 maggio 2012, data dell’ultimo monitoraggio pubblicato dal Ministero), per nessun programma era stata chiesta la quota del finanziamento erogabile al collaudo delle opere realizzate e solo in quattro casi era stata erogata la quota prevista per l’inizio dei lavori”. Altri esempi potrebbero aggiungersi all’elenco delle inerzie operative. Ma, l’autore non si limita a segnalare criticità e guasti nell’azione delle autorità centrali e locali, avanza anche alcuni interessanti suggerimenti per cambiare direzione.
“È difficile ottenere risultati apprezzabili ponendo, nei bandi, vincoli stringenti sui tempi di apertura dei cantieri e di esecuzione dei lavori. C’è un evidente svantaggio, un’asimmetria informata, dell’autorità che finanzia rispetto a quella che richiede il finanziamento, la quale pur di ottenerlo può essere disposta a mentire sui tempi reali di realizzazione dell’intervento e sul reperimento delle eventuali altre risorse necessarie. I bandi possono però penalizzare, con l’attribuzione di un punteggio negativo, i progetti presentati dagli enti che non siano stati in grado di spendere nei tempi previsti i fondi ricevuti con finanziamenti precedenti. La penalità potrebbe essere graduata fino a impedire la partecipazione ai bandi dei Comuni, delle Regioni o degli altri enti pluri-recidivi e con macroscopici sforamenti dei tempi”. A parere di Lungarella, il bando per l’attribuzione del finanziamento dovrebbe prevedere, in quel caso, la nomina di una specifica autorità per l’esecuzione dei lavori nei tempi previsti, una sorta di commissario ad acta, che proceda all’automatica revoca del finanziamento qualora accertasse che non possa essere recuperato il ritardo e rispettate le scadenze successive. Anche se non si riuscisse a recuperare interamente le eventuali somme già anticipate – conclude l’autore – si tratterebbe di un danno economico e sociale meno grave di quello derivante dal blocco prolungato di risorse di incerto utilizzo.