La corruzione è un male antico quanto il mondo, sin da quando gli umani si sono dati un’organizzazione sociale creando istituzioni pubbliche e poi Stati nazionali. In altre parole, una patologia cronica non sopprimibile del tutto e, tuttavia, contrastabile riducendola a livelli fisiologici, dunque tollerabili dal consesso civile. In tutti i Paesi si registra un tasso di corruzione dei poteri pubblici, anche se in misura differenziata. In talune realtà intacca profondamente la natura degli Stati, sino a trasformali in vere e proprie associazioni criminali governate da elitè malavitose. In altre, invece, incide marginalmente senza comprometterne la struttura democratica. Di qui l’esigenza di conoscere e mappare la diffusione dei fenomeni corruttivi a livello planetario, nazione per nazione. Un compito importante, utile per chi disegni strategie geopolitiche di respiro strategico. Compito svolto accuratamente da Transparency International, autorevole Associazione non governativa e no profit impegnata sul fronte anticorruzione, che stila ogni anno una dettagliata classifica. Nell’ultimo ranking disponibile si segnalano alcune interessanti novità. L’Italia migliora la sua posizione nell’indice di percezione della corruzione, posizionandosi al 61° posto nella classifica globale, ma – nonostante l’incremento di 8 posizioni- rimane in fondo alla classifica europea, penultima davanti alla sola Bulgaria, pur guadagnando un solo punto (da 43 a 44) rispetto a quella precedente. Resta, però, dietro altri Paesi generalmente considerati molto corrotti come Romania e Grecia, entrambi in 58° posizione con 46 punti.
L’aggiornato rapporto – che verrà presentata oggi a Roma da Virginio Carnevali, presidente di Transparency International Italia, Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, e Ivan Lo Bello, Presidente di Unioncamere – evidenzia anche il crollo del Brasile, duramente colpito dal caso Petrobras, che ha perso 5 punti ed è passato dal 69° posto al 76°, mentre al vertice e in coda alla graduatoria la situazione rimane pressoché invariata: Somalia e Corea del Nord si confermano anche quest’anno come i due Paesi più opachi. Nessun mutamento neppure al vertice, dove la Danimarca si conferma campione di trasparenza. “Constatiamo con piacere che finalmente si è avuta un’inversione di tendenza, seppur minima, rispetto al passato, che ci fa sperare in un ulteriore miglioramento per i prossimi anni”, commenta Carnevali che però ricorda come “la strada sia ancora molto lunga e in salita, ma con la perseveranza i risultati si potranno raggiungere”. Il presidente di Trasparency International ricorda, inoltre, come “in questi giorni la Camera abbia approvato le norme sul whistleblowing e, pertanto, le pubbliche amministrazioni stiano diventando via via più aperte e trasparenti. Una proposta di regolamentazione delle attività di lobbying è arrivata a Montecitorio. Azioni, queste, che denotano come una società civile più unita su obiettivi condivisi e aventi come focus il bene della res publica porti necessariamente un contributo fondamentale al raggiungimento di traguardi importanti”.
“Il miglioramento dell’Italia è una buona notizia – gli fa eco Lo Bello – Ma per compiere un salto di qualità importante occorre però un ruolo più forte della società civile: la battaglia per legalità e trasparenza è resa meno difficile dalla rivoluzione digitale in atto e anche su questo fronte – conclude – occorre insistere con decisione per fare della macchina pubblica un attore trasparente, imparziale e rispettoso delle regole del mercato”.