L’identikit dell’avvocato è maschio e meridionale, tra gli under 30 più donne; nel 2021 sono 241.830 gli avvocati iscritti alla Cassa Forense, di cui il 94,3% attivo, mentre il 5,7% è rappresentato da pensionati contribuenti. Rispetto al 2020 vi è una riduzione degli iscritti di 3.200 unità (-1,3%), gli attivi sono 4,1 ogni 1.000 abitanti la distribuzione per genere vede una prevalenza maschile con il 52,3% sul totale. La distribuzione per area geografica mette in evidenza la componente meridionale sul totale degli iscritti: un terzo degli avvocati risiede al Nord, contro il 43,8% degli avvocati del Mezzogiorno e il 22,5% del Centro. 6 avvocati su 10 hanno un’età inferiore ai 50anni, gli over 60 coprono una quota di poco superiore al 15%, l’età media degli iscritti è 49 anni, quella degli iscritti attivi 47, l’età media dei pensionati contribuenti è di 74 anni. Il peso delle donne sul totale degli iscritti è inversamente correlato all’età anagrafica, con una maggiore presenza femminile in tutte le classi d’età inferiori ai 55 anni: fatto 100 il totale degli avvocati con un’età inferiore ai 35 anni, ben il 59,1% è rappresentato da donne. Questa la panoramica del «VI Rapporto Censis sull’avvocatura italiana» realizzato per la Cassa Forense su un campione di 30.000 avvocati.
Il 28,4% degli avvocati ha definito molto critica la situazione nel 2021, caratterizzata da scarsità di lavoro e da un senso di incertezza, un terzo definisce la situazione abbastanza critica, con margini per superare le difficoltà (32,8%). Stabile e in continuità con il 2020 la situazione per il 24,5%, mentre la quota di chi ha visto migliorare la propria condizione rispetto all’anno precedente è di 14 avvocati su 100.
In prospettiva, una valutazione positiva sugli anni 2022 e 2023 emerge dal 23,3% del campione, al quale si contrappone meno di un terzo (30%) che avverte un peggioramento nel corso del 2022/2023. Non prevede grossi cambiamenti il 46,7% degli avvocati, ma la quota di professionisti che sta prendendo in considerazione l’ipotesi di lasciare l’attività riguarda un terzo degli avvocati (32,8%). Chi intende lasciare la professione sarebbe spinto dai costi eccessivi dell’attività e dal ridotto riscontro economico (63,7%).Nell’anno della pandemia, il reddito medio annuo di un avvocato iscritto alla Cassa, ha subito una riduzione di 6 punti percentuali, collocandosi su una soglia inferiore ai 38.000 euro. La distanza fra il reddito medio di una donna avvocato e quella di un collega uomo è tale che occorre sommare il reddito di 2 donne per sfiorare il livello medio percepito da un uomo: 23.576 euro contro i 51.000.
Le prospettive di crescita della professione trovano nelle specializzazioni un ampio dibattito all’interno della professione: per il 46,8% degli avvocati il diritto della crisi d’impresa e dell’insolvenza rappresenta la specializzazione in ambito civile, con il maggiore potenziale di sviluppo nei prossimi 3 anni. Nell’area penale sono le questioni legate a internet, all’informazione e alle nuove tecnologie ad essere percepite come opportunità (40,3%). Nell’area amministrativa prevale il diritto dell’ambiente e dell’energia (36,5%), il diritto sanitario (34,5%), il diritto urbanistico, dell’edilizia e dei beni culturali (21,8%). Il 42,2% degli avvocati considera prioritaria l’offerta di una pluralità di servizi nell’ambito di realtà organizzative multidisciplinari e specialistiche senza tralasciare o annullare il rapporto fiduciario; il 35,2% sottolinea il valore del rapporto di fiducia, mentre il restante 22,7% constata che la specializzazione si pone in alternativa al rapporto di fiducia e che quest’ultimo sia destinato a perdere di rilevanza.
Il 56,6% degli avvocati afferma che la differenza di reddito fra uomini e donne sia un dato di fatto, percentuale che si ferma al 31,3% fra gli avvocati uomini e sale all’81,9% nel caso di donne. Fra le cause del divario di reddito: gli impegni familiari e la difficoltà di conciliare famiglia e professione (54,2% in totale, 49,6% donne e 66,3% uomini); la presenza di discriminazioni della clientela (51,0% donne, 41,1% uomini); la svalorizzazione del lavoro svolto dalle donne (50,3% le donne, 28,7% gli uomini).