Nel rito elettorale non è ammissibile, nemmeno in conseguenza di indagini penali in corso, né uno spostamento del termine decadenziale né, tanto meno, un ampliamento del thema decidendi, che si presenta incompatibile con un rito dai forti connotati di specialità, che prevede termini ridotti non solo per la sua proposizione, ma anche e soprattutto per la sua definizione; diversamente, non solo si ammetterebbe uno spostamento in avanti del termine decadenziale, in corrispondenza, ad esempio, dell’acquisita notizia dell’applicazione della prima misura cautelare, ma anche che il suddetto termine decadenziale possa ricominciare a decorrere in conseguenza degli ulteriori sviluppi delle indagini penali.
Ha ricordato la Sezione che nel giudizio elettorale, si possono contestare i risultati delle operazioni elettorali solo nel rispetto dei termini perentori previsti dalla legge, specificando quali illegittimità siano state commesse (Cons. Stato, sez. V, 28 dicembre 1996, n. 1618). Infatti, il legislatore non ha previsto una giurisdizione di diritto obiettivo, con la quale si debba accertare quale sia stato l’effettivo responso delle urne elettorali, poiché il giudice amministrativo non può riesaminare (direttamente o tramite suoi incaricati) tutta l’attività amministrativa svoltasi durante le operazioni. Il legislatore, invece, anche al fine di contemperare tutti gli interessi in conflitto, ha inteso dare rilievo al principio di certezza dei rapporti di diritto pubblico (che ha uno specifico rilievo nella materia elettorale), prevedendo la giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo e il rigoroso termine di decadenza di trenta giorni, entro il quale gli atti vanno posti in contestazione e decorso inutilmente il quale i risultati elettorali diventano inattaccabili (per la parte che non è stata oggetto di tempestiva contestazione). […] la Sezione ha più volte pure osservato che la legge (tenuto anche conto della complessità delle operazioni e della molteplicità delle sezioni e pure quando una sola sia la sezione elettorale) considera irrilevante la circostanza che l’elettore o il soggetto leso, intenzionato a proporre un ricorso giurisdizionale, abbia percepito tardivamente la sussistenza di specifici vizi delle operazioni ovvero non abbia avuto la concreta possibilità di essere a conoscenza di tutti i vizi delle operazioni elettorali: l’impugnazione del verbale di proclamazione degli eletti ha rilevanza giuridica nei limiti in cui, entro il termine perentorio previsto dalla legge, sono state proposte censure avverso di esso. Il ricorso elettorale, dunque, delimita i poteri istruttori e decisori del giudice amministrativo nell’ambito delle specifiche censure tempestivamente formulate: ciò vale sia per il ricorso ‘principale’ del ricorrente, che per quello ‘incidentale’ del ‘controinteressato’ (Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2002, n. 3924; id. 5 maggio 1999, n. 519; id. 10 marzo 1997, n. 247), e non può ammettersi l’ampliamento sine die del thema decidendi dopo la scadenza del termine di decadenza, ad esempio dimostrando che la conoscenza di vizi delle operazioni elettorali è conseguita a indagini od informative, ovvero è derivata dalla cura con la quale si sia seguito l’andamento di un procedimento penale. In altri termini, le modifiche o il sovvertimento del risultato elettorale non possono dipendere dalla effettiva conoscibilità dei vizi eventualmente sussistenti, in quanto l’obiettivo decorso del tempo rende immutabili i risultati, così come ufficializzati nell’atto di proclamazione: la delimitazione dell’oggetto del giudizio elettorale ha luogo mediante l’indicazione tempestiva degli specifici vizi di cui sono affette le operazioni” (Cons. Stato, sez. n. 755 del 17 febbraio 2014, richiamata anche nella sentenza n. 610 dell’11 febbraio 2016).
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it