Il Rapporto dell’Ispra del 2018 sul Dissesto idrogeologico evidenzia che in Italia ben 7.275 Comuni, il 91% del totale, siano a rischio frane o alluvioni. Un fenomeno estremamente diffuso quello franoso anche in virtù del fatto che il 75% del nostro territorio nazionale è montano-collinare. E delle circa 900.000 frane censite nelle banche dati dei Paesi europei (Herrera et al., 2018), quasi i due terzi fanno parte dell’Inventario dei fenomeni franosi in Italia (Progetto Iffi) realizzato dall’Ispra con le Regioni e le Province Autonome. Sappiamo che il 28% delle frane italiane sono eventi a cinematismo rapido (crolli, colate di fango e detriti), caratterizzate da velocità elevate, fino ad alcuni metri al secondo e da imponente distruttività, con gravi conseguenze in termini di perdita di vite umane, come ad esempio in Versilia nel 1996, a Sarno e a Quindici nel 1998, in Piemonte e Valle d’Aosta nel 2000, in Val Canale (Friuli Venezia Giulia) nel 2003, a Messina (2009), a Borca di Cadore (2009), in Val di Vara, Cinque Terre e Lunigiana (2011), in Alta Val d’Isarco (2012) e a San Vito di Cadore nel 2015.
Altre tipologie di movimento (colate lente, frane complesse), caratterizzate da ridotta velocità, possono causare ingenti danni a centri abitati e infrastrutture lineari di comunicazione, come è accaduto a Cavallerizzo di Cerzeto (Cs) nel 2005, a San Fratello (Me), come a Montaguto (Av) nel 2010 e a Capriglio di Tizzano Val Parma nella primavera del 2013. I fattori più importanti per l’avvio dei fenomeni franosi sono le precipitazioni brevi e intense, quelle persistenti e i terremoti. Riguardo a questi ultimi pensiamo, ad esempio, alle frane verificatesi sulla scia della sequenza sismica che hanno interessato l’Italia centrale a partire dall’agosto 2016.
Negli ultimi decenni, poi, i fattori antropici come tagli stradali, scavi, sovraccarichi dovuti ad edifici o rilevati, hanno assunto un ruolo sempre maggiore tra le cause predisponenti delle frane. In questo scenario la buona notizia è data oggi dalla messa a punto di un team multidisciplinare di ricercatori Enea riguardante un sistema innovativo, sulla previsione di intensità e percorso dei “fiumi di fango” con la possibilità di individuare, al tempo stesso, le aree e le infrastrutture a rischio. La novità risiede nello studio che incrocia i dati geografici, storici e territoriali, comparati con gli approfondimenti relativi alle frane di Messina e ai test di mitigazione del rischio realizzati in Afghanistan.
Un altro aspetto innovativo del progetto riguarda inoltre l’attenzione alla “ricostruzione resiliente” delle aree, anche attraverso l’analisi costi-benefici e da iniziative di formazione rivolte alla popolazione stessa. Questa nuova metodologia verrà applicata a un piano da realizzare in Perù, in collaborazione con l’Università di Torino e ad un programma per la protezione delle infrastrutture critiche in Italia. Il metodo adottato dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile ha due gradi di approfondimento: a livello nazionale vengono individuati distinti livelli di suscettibilità per distinte tipologie di fenomeni franosi quali frane a lenta evoluzione, come le grandi colate di argilla tipiche del centro nord Italia o della Basilicata; frane a rapida evoluzione, vale a dire i crolli di massi di roccia da pareti verticali; frane superficiali a rapida evoluzione, i cosiddetti “fiumi di fango”. A livello locale e con particolare riferimento alle frane superficiali a rapida evoluzione, alle quali è imputabile il maggior numero di vittime e di danni, come accaduto nel 1998 nell’area di Sarno (Salerno) e nel 2007 e 2009 in provincia di Messina, vengono stimate le aree di possibile propagazione del fenomeno e le energie connesse. Incrociando tali carte di pericolosità con le quelle di uso del suolo è possibile individuare le aree e infrastrutture maggiormente a rischio.
E’ stato inoltre progettato e sviluppata un’apposita banca dati territoriale insieme ad un sistema di supporto alle decisioni, dotato di interfaccia WebGIS. “In questo modo, caso per caso – ha spiegato l’ingegner Maurizio Pollino del Laboratorio Analisi e Protezione delle Infrastrutture critiche dell’Enea – sarà possibile organizzare tutti i dati geografici e le informazioni territoriali in maniera organica, rendendoli fruibili attraverso una specifica applicazione via web. Oltre a permettere la mappatura e la condivisione dei dati e dei risultati. Questa applicazione si è già rivelata fondamentale per fornire un supporto decisionale agli specialisti della Banca Mondiale e ai tecnici delle istituzioni afghane interessati come utenti finali”.
“Posizione geografica e anni di degrado ambientale rendono l’Afghanistan un Paese molto incline a pericoli naturali particolarmente intensi e ricorrenti come inondazioni, terremoti, valanghe, frane e siccità – ha aggiunto Claudio Puglisi, geomorfologo e primo ricercatore del Laboratorio Tecnologie per la Dinamica delle Strutture e la Prevenzione del rischio sismico e idrogeologico dell’Enea – Nell’ambito dello studio finanziato dalla Banca Mondiale è emerso che il 70% del territorio afghano è soggetto a rischio frana. Nel 2014 vaste aree del Paese sono state colpite da disastri naturali che hanno provocato il più alto numero di morti al mondo per questo tipo di fenomeno secondo i dati dell’ultimo decennio”. “Una volta rese fruibili sul web, le mappe che abbiamo realizzato consentiranno alle amministrazioni pubbliche di intervenire per mitigare il danno, valutandone anche costi e benefici in un’ottica di ricostruzione resiliente […]. Approfondire l’analisi dello stato di rischio da eventi naturali tramite la stima di intensità, velocità, area di transito e di deposito del futuro fenomeno franoso rappresenta un importante passo in avanti nella difesa di strutture e infrastrutture presenti in un’area che mostra propensione ai fenomeni franosi – ha concluso Puglisi. Si tratta inoltre di un elemento fondamentale nelle strategie di mitigazione del danno atteso che può diventare un modello replicabile ed adattabile anche in altri contesti”.