Si preannuncia una settimana calda sul fronte della P.a. Arriveranno in Cdm per il via libera finale cinque decreti attuativi della riforma Madia, tra cui il riordino della dirigenza. Anche sul fronte del rinnovo dei contratti degli statali si dovrebbe muovere qualcosa, con i sindacati che aspettano una convocazione prima del referendum.
In questi giorni il governo sta aggiustando il decreto sulla dirigenza per recepire le condizioni poste dai pareri parlamentari, ben 28: si va da più tutele per i dirigenti di prima fascia e per quelli che restano senza incarico alla messa a punto di un crono-programma, che dia più tempo a Regioni e Comuni per adeguarsi alle novità. I primi a testare il nuovo sistema saranno quindi i dirigenti delle amministrazioni centrali, i ministeriali.
Su questo tema si è pronunciata il Ministro per la Semplificazione Marianna Madia nel corso del question time tenutosi al Senato giovedì 17 novembre.
Particolare attenzione è stata riposta per contrastare le obiezioni alla riforma della dirigenza pubblica, in applicazione dell’art. 11, della legge delega 7 agosto 2015, n. 124, nella bozza divulgata recentemente dal Governo e sulla quale si appuntano molteplici critiche, prime tra tutte: l’assenza di un idoneo sistema di valutazione della capacità manageriale; un’eccessiva discrezionalità per la riconferma del dirigente o l’attribuzione di un incarico di livello superiore affidata ad una Commissione allocata presso il Dipartimento della Funzione Pubblica e composta in maniera sbilanciata da componenti sulla cui effettiva autonomia di giudizio potrebbe dubitarsi; una scarsa flessibilità organizzativa e rotazione degli incarichi; oltre che una marcata differenza tra le retribuzioni dei dirigenti e quelle di alcuni funzionari cui potrebbero essere attribuite talune funzioni dirigenziali, per assicurare un percorso di carriera ai dipendenti più meritevoli.
Critiche di merito espresse dalle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato, cui si accompagnano quelle di stampo tecnico-giuridico sollevate in sede consultiva dal Consiglio di Stato e la preoccupazione che il nuovo sistema così delineato comporti la subordinazione totale della dirigenza pubblica alla politica. Tanto, nonostante la Consulta abbia a più riprese affermato il principio per cui il regime della dirigenza pubblica debba garantire “la tendenziale continuità dell’azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione e, di conseguenza, deve essere circondato da garanzie, in quanto la dipendenza funzionale del dirigente non può diventare dipendenza politica”.
A tali osservazioni il Ministro ha replicato sostenendo che l’obiettivo della riforma è quella di conferire maggiore flessibilità attraverso l’istituzione di ruoli unici della dirigenza, superando l’appartenenza del dirigente alla sua amministrazione e, per l’effetto, la tendenza di ciascuna ad operare come una monade.
Rimedio mutuato da altri Paesi, dove gli incarichi di maggiore responsabilità di solito sono ricoperti da chi ha già svolto incarichi in amministrazioni diverse e non in una singola amministrazione.
Ciò posto, a giudizio del rappresentante del Governo, la riforma non altera il principio di separazione tra di politica e amministrazione, sia perché conferma l’accesso alla dirigenza mediante pubblico concorso, sia perché a fronte dello status quo in cui “chi ha un incarico politico può conferire l’incarico della direzione generale di un Ministero, ad esempio, a chiunque abbia i requisiti e risponda ad un interpello” essa consente a chi ha la responsabilità politica di scegliere solo in una rosa di cinque dirigenti, selezionati da una Commissione indipendente, autonoma, di garanzia, in base al curriculum e, dunque, alle esperienze oggettivamente maturate.
Fattori cui il Ministro aggiunge le garanzie di una disciplina del licenziamento diversa da quella vigente nel settore privato che restringe le ipotesi espulsive solo alle ragioni disciplinari ed a quelle di valutazione negativa, decorsi due anni dal mancato conferimento di un nuovo conferimento di incarico.
Centrale, pertanto, sarà il nuovo sistema di valutazione delle capacità manageriali e l’autonomia di giudizio delle Commissioni preposte che il Ministro, aprendo alle obiezioni non solo parlamentari, concorda passino soprattutto in caso di mancato conferimento di un incarico con i conseguenti rischi di licenziamento, per il “vaglio di una maggioranza qualificata nelle commissioni competenti – finanche al garantire, attraverso l’introduzione di specifiche norme, la parità di genere nell’assegnazione degli incarichi”.
Proprio nei giorni scorsi i tre sindacati riuniti, Cgil, Uil e Cisl, avevano pubblicato un comunicato congiunto nel quale denunciavano la non convocazione del tavolo delle trattative da parte dell’Esecutivo, in partciolare del ministro per la Funzione Pubblica, Marianna Madia. L’incontro, che già era annunciato per la fine dello scorso settembre, è di fondamentale importanza per arrivare a una soluzione dei temi più importanti per gli #statali: rinnovo del contratto, aumenti di stipendio, attuazione o meno della riforma Brunetta per la distribuzione dei bonus nell’ambito degli stessi incrementi in busta paga.