Fra le molteplici emergenze ambientali che affliggono il Belpaese ce n’è una poco nota e mal gestita, ma non per questo meno pericolosa, che rischia di farci entrare nel mirino delle sanzioni europee. Si tratta degli oltre 90mila metri cubi di rifiuti radioattivi derivanti dalle centrali dismesse (75mila metri cubi) e dalle attività industriali, mediche e di ricerca (15mila), ai quali si aggiungono 58mila metri cubi di rifiuti provenienti da attività di bonifica di installazioni industriali contaminate accidentalmente. Come affrontare il problema? Dovrebbe essere attivato un deposito nazionale per stivare queste sostanze letali che l’Italia è tenuta a rendere operativo entro il 2024. Purtroppo, siamo in alto mare. Diverse le carenze: è assente il programma nazionale per la gestione delle scorie; manca la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il futuro deposito (la cosiddetta Cnapi, che in realtà è stata redatta dalla Sogin nel 2015 sulla base dei criteri dell’Ispra, ma ancora in attesa di pubblicazione) e manca persino il luogo dove sorgerà questo deposito.
Molto più attuale e concreta, invece, è l’eventualità d’incorrere nell’ennesima procedura di infrazione. Secondo la direttiva 2011/70 del Consiglio europeo, infatti, il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi doveva essere presentato entro il 23 agosto 2015. Scadenza inevasa. Così, lo scorso 13 luglio la Commissione europea ha inviato un “parere motivato”, ovvero un richiamo formale che ci dà tempo 60 giorni per evitare il deferimento alla Corte di giustizia europea. Appena due mesi per recuperare un ritardo di anni.
Sarà per questo che, a due anni dal termine fissato dal Consiglio Europeo, il Governo ha avviato la fase di consultazione pubblica per la Valutazione ambientale strategica (Vas), la procedura prevista dalle direttive europee che permette ai cittadini di dire la propria sul programma nazionale per la costruzione e la gestione del deposito dei rifiuti radioattivi. Procedura che, però, arriva in estate e si chiuderà il 13 settembre, in un periodo di vacanze generalizzate. Il Ministro Calenda ha però annunciato tempi brevi per la conclusione della procedura di Vas e la pubblicazione entro la fine di quest’anno della Carta delle aree idonee a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti nucleari italiani. Secondo Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente, il metodo gestionale sinora seguito è a dir poco discutibile: “Paradossalmente, abbiamo avviato l’iter di definizione e discussione sul deposito nazionale, che è un pezzo del programma, senza però dare lo scenario di contesto cioè la strategia. Prima di imputare la mancata realizzazione di questo deposito alla sindrome Nimby o all’ostracismo di Comuni e comitati – sottolinea Zampetti – bisogna fare estrema attenzione alla trasparenza dell’iter e alla certezza dei tempi, cosa che avevamo già chiesto nel 2014, quando l’Ispra presentò i requisiti. Ma i tempi indicati all’inizio non sono mai stati rispettati e tutta la confusione che c’è stata fino a oggi non fa altro che alimentare timori e allerta nella popolazione, con il risultato che alcuni Comuni e comitati hanno già preso posizione. L’auspicio è che, a questo punto, col programma prima e con la pubblicazione della Cnapi poi, ci sia tutto il tempo e la partecipazione possibili a garanzia che il deposito si faccia nel miglior modo e luogo possibili. Quello ci lascia perplessi – aggiunge Zampetti – è un aspetto, contenuto sia nel programma nazionale sia nel progetto di deposito, che è quello di mettere temporaneamente nel deposito delle scorie a bassa e media attività, anche quelle ad alta attività attualmente in fase di riprocessamento all’estero. Visti i quantitativi marginali che l’Italia ha di questo tipo di scorie, sarebbe meglio continuare con questi accordi lasciando che a gestirli siano i Paesi che hanno già le strutture adeguate”.