Il Rapporto sul benessere equo e sostenibile 2016, presentato ieri dall’Istat fotografa tendenze differenziate, punti di forza e criticità con un Sud in affanno per occupazione, qualità del lavoro, condizioni economiche minime, reddito. Nel nostro Paese a settembre di quest’anno è entrata in vigore la nuova legge di bilancio, che prevede l’inserimento degli indicatori di benessere equo e sostenibile nei documenti di programmazione, insieme a un’analisi sul loro andamento nel triennio precedente e una valutazione dell’impatto sul benessere delle misure previste per il raggiungimento degli obiettivi di politica economica. L’Istituto nazionale di statistica è stato chiamato dalla Commissione delle Nazioni Unite a svolgere un ruolo attivo e di coordinamento nazionale nella produzione degli indicatori individuati per il monitoraggio degli obiettivi e dei rispettivi target dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile. La crescente domanda informativa, relativa alla misurazione statistica Sustainable development goals (Sdgs) costituisce un’importante opportunità di sviluppo delle capacità di misurazione del Sistema statistico nazionale, consentendo altresì di ampliare ulteriormente la diffusione di indicatori utili alla misurazione della sostenibilità su scala nazionale.
In questo IV Rapporto Bes vediamo che la crescita progressiva della vita media si arresta nonostante la longevità, benchè l’Italia resti ancora oggi il secondo Paese in Europa dopo la Spagna per il tasso di longevità. Secondo i dati raccolti, la speranza di vita alla nascita mostra per la prima volta nel 2015 una leggera flessione, dopo il lieve ma costante incremento registrato nell’ultimo decennio. Nel 2014 la vita media attesa aveva raggiunto il valore massimo di 82,6 anni (superando per la prima volta la soglia degli 80 anni per gli uomini e raggiungendo gli 85 anni per le donne). Per quanto riguarda la sicurezza, il complesso degli indicatori oggettivi e soggettivi che ne misurano l’evoluzione in ambito nazionale mostra una diffusa tendenza al miglioramento.
Il Report mette in evidenza come al Nord tutte le dimensioni del benessere risultano essere migliori. Il Centro è allineato al Settentrione nell’istruzione, di poco indietro per ambiente, salute e condizioni economiche minime, distante nei restanti domini. Il gap del Mezzogiorno rispetto alla media nazionale è ancora significativo, soprattutto per occupazione, qualità del lavoro, condizioni economiche minime, reddito. Il Sud si avvicina alla media nazionale solo per relazioni sociali e ambiente.
Per quanto riguarda il benessere economico, nel confronto internazionale l’Italia sconta una crisi più lunga e più profonda che in gran parte degli altri paesi europei. In diversi Stati membri la ripresa, avviatasi nel 2009, ha subito una lieve battuta d’arresto nel biennio 2012-2013, per poi consolidarsi a ritmi moderati nei due anni successivi. Nella nostra Penisola, la recessione del 2012-2013 è stata particolarmente profonda e solo tra il 2014 e il 2015 è iniziato un lento recupero, con segnali di miglioramento che non appaiono ancora evidenti per le fasce più deboli della popolazione. Il livello di reddito disponibile è ancora prossimo alla media europea e quello della ricchezza è decisamente superiore. Tuttavia, tra i Paesi che hanno aderito all’Ue prima degli anni 2000, solo Spagna, Grecia e per alcuni indicatori Portogallo, mostrano un benessere economico inferiore a quello italiano. La moderata crescita del reddito disponibile e del potere d’acquisto a cui ha contribuito la frenata della dinamica inflazionistica, ha favorito, nel biennio 2014-2015, un recupero della spesa per consumi, mentre la propensione al risparmio è rimasta inferiore a quella del periodo pre-crisi.
Un recupero di fiducia delle famiglie trova conferma nella diminuzione dell’indicatore soggettivo di grande difficoltà economica. Le forme di indebitamento, che avevano caratterizzato il comportamento di consumo negli anni più difficili, si sono in parte alleggerite con conseguente diminuzione della vulnerabilità finanziaria delle famiglie: tra quelle con minori livelli di ricchezza è diminuito sia il numero degli indebitati, sia la loro esposizione media. Il miglioramento rilevato dall’Istat, tuttavia, non ha modificato la disuguaglianza reddituale (nel 2015 il valore è identico a quello del 2013, il più alto dell’ultimo decennio). Secondo il Rapporto, è ancora bassa la fiducia nelle istituzioni, soprattutto nei confronti dei partiti, del Parlamento, Consigli regionali, comunali e provinciali, come pure nel Sistema giudiziario. Le sole espressioni di fiducia da parte dei cittadini che superano la sufficienza rimangono quelle verso i Vigili del fuoco e le Forze dell’ordine.
Continua la riduzione degli omicidi, ma non nel caso delle donne vittime dei partner (o ex-partner) e inizia a consolidarsi la diminuzione dei reati predatori, con l’unica eccezione delle truffe informatiche. Nel contesto europeo, l’Italia si colloca tra i Paesi con la più bassa incidenza di omicidi, mentre per quanto riguarda furti e rapine la situazione è ancora critica. In relazione all’ambiente, invece, l’Istat rileva segnali di miglioramento nella percezione dei cittadini, sebbene persistano ritardi e difficoltà strutturali; vi è infatti ancora una forte disparità nell’ampiezza e nell’intensità delle risposte ai problemi di salvaguardia dell’ambiente, in gran parte riconducibili ad azioni rivolte all’adeguamento a normative europee e al governo di specifiche emergenze. Tra gli avanzamenti registrati nel periodo più recente vi sono un accresciuto livello raggiunto dalla disponibilità di aree verdi urbane accessibili ai cittadini e delle aree naturali protette, pari al +20% del territorio nazionale. Cresce complessivamente la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili, nonostante il calo registrato nell’ultimo anno, mentre si contraggono le emissioni di gas serra e il consumo di materiale interno. Questi miglioramenti si manifestano in un contesto di crescente sensibilità della popolazione italiana nei confronti dell’ambiente.