Dal 2020 l’ISTAT, in collaborazione con il Dipartimento per le Pari Opportunità (DPO), ha iniziato ad analizzare il fenomeno della violenza di genere nell’ambito dei social media per analizzare come il fenomeno viene rappresentato e come gli stereotipi di genere sono veicolati nello spazio virtuale. E’ stato promosso un progetto di analisi del sentiment1 ed emotion2 e le interazioni generate dai social media (Twitter – X, Instagram e FB, Webnews) volte a osservare come i social riproducano stereotipi di genere, amplifichino il linguaggio violento, generino indignazione e, di conseguenza, le nuove forme di violenza di genere che possano generarsi online (cyber-violenza). Nel Report, presentato in questi giorni dall’Istat, sono stati analizzati i dati raccolti tra il 1° Dicembre 2022 e il 31 Agosto 2024.
Le piattaforme dei social media sono diventate uno spazio non facile per le donne e ormai l’attenzione alla violenza sulle donne facilitata dalla tecnologia costituisce un tema centrale nel dibattito internazionale. La violenza online ha le stesse origini culturali e sociali della violenza off-line, la Technology Facilitated Gender Based Violence ovvero la violenza facilitata dalla tecnologia è radicata e resa possibile da norme discriminatorie di genere che si intersecano con altre forme di discriminazione basate su razza, etnia, identità di genere, orientamento sessuale e abilità, come altri fattori da considerare quando si osserva questo nuovo fenomeno connesso alla diffusione della comunicazione online e all’uso dei social media. Diversi sono i metodi per studiare l’incidenza del fenomeno delle molestie online e osservare come il tema viene trattato dai social costituisce una fonte primaria di informazione.
L’Istat ha continuato a monitorare l’attività dei social, osservando come i temi della violenza sulle donne, degli stereotipi e l’immagine sociale che ne deriva, ne esalti gli aspetti di indignazione oppure se ci sia un’amplificazione del linguaggio violento che rafforza i processi di vittimizzazione. L’analisi dei picchi registrati consente di individuare quali temi generino maggiori discussioni e quali siano le modalità con cui gli utenti social reagiscono alla violenza contro le donne e/o generino discussioni intorno ad essa. La metodologia applicata ha fatto emergere e comprendere i messaggi che scatenano la discussione collettiva, fornendo una mappa degli argomenti (ad es.il body-shaming, il femminicidio e lo stupro), che sono rilevati attraverso la sentiment e l’emotion analysis al fine di osservare le polarità (positive, neutre e negative) e lo spettro delle emozioni associate.
Analizzare il modo in cui la violenza di genere e gli stereotipi di genere vengono rappresentati nei social costituisce una nuova frontiera di studio del fenomeno ed è interessante constatare come muta la percezione e la narrativa della violenza sulle donne nella realtà virtuale. Attraverso la cattura dei contenuti veicolati dai social, sulla base della presenza di 1 parola appartenente ad un insieme di parole filtro è possibile osservare le opinioni e i contenuti dei “post”.
L’analisi consente anche di osservare come tali messaggi siano utilizzati per contrastare, condannare o isolare la cultura dello stereotipo e della violenza di genere, o, al contrario, ne esaltino il lato negativo, amplificando la portata di odio e violenza. I dati analizzati consentono quindi di:
- Osservare i volumi della produzione sui social cogliendone gli andamenti nel tempo e sulla base di questo dato è possibile individuare gli eventi/temi che hanno caratterizzato la produzione di messaggi social sul tema. Tipicamente si tratta di eventi commemorativi come la Giornata del 25 novembre, ma i picchi si registrano anche in coincidenza di fatti di cronaca o legati a provvedimenti giuridici o discussioni animate da eventi di varia natura (sportivi, culturali) che generano reazioni contrastanti tra gli utenti.
- Rappresentare come tali conversazioni utilizzino un linguaggio violento o di indignazione nei confronti dei temi scatenanti la discussione.
- Analizzare le emozioni connesse agli atteggiamenti di indignazione e di violenza espressi.
- Effettuare una topic analysis sui messaggi per evidenziare quali siano gli argomenti trattati nell’ambiente virtuale. I dati raccolti hanno riguardato 1.467.035 contenuti sulla violenza di genere di cui 684.504 prodotti da X (twitter), seguiti da 262.525 Facebook e 131.252 Instagram. Da segnalare anche i 340.264 prodotti dal WEB e 48.104 da rassegna stampa, i tweets di X assorbono circa la metà delle conversazioni monitorate (47%).
Il focus a seguire si concentra invece sul modo con cui “si parla” online: è stato effettuato sulle reazioni di odio, aggressività e violenza che gli eventi e/o fatti di cronaca generano nelle conversazioni, e sul senso di indignazione che gli stessi eventi provocano tra gli user dei social e del web, da specificare che il totale dei contenuti informativi è pari a 906.422, il 62% dei contenuti, per la maggior parte post di X.
Dall’analisi si evidenzia una leggera predominanza dei contenuti violenti: in termini quantitativi sono 23.928 i contenuti di indignazione contro 27.292 contenenti linguaggi violenti. Se l’indignazione, la consapevolezza emergono in corrispondenza di eventi che attirano la reazione dei social (25 novembre, o in caso di femminicidi efferati), altri eventi collegati a donne che prendono parola nella sfera pubblica (interventi in occasioni di eventi televisivi) sono connotati da contenuti di violenza online. I dati evidenziano quindi, in definitiva, che, quanto più le figure femminili note intervengono sul tema della violenza sulle donne, tanto più sono soggette ad attacchi d’odio. Il linguaggio violento, evidenzia quanto nel dibattito pubblico sia ancora diffusa una cultura volta a rafforzare lo stereotipo di genere, che purtroppo costituisce ancora la radice socioculturale della violenza contro le donne.
Fonte: ISTAT