Niente di nuovo sul fronte TIA: una Cassazione a sezioni unite per ribadire quanto già detto in passato con la Corte Costituzionale 238/2009 e 64/2010.
Il ricorrente, gestore pubblico di una rilevante realtà, chiedeva una pronuncia sulla supposta assenza, acclarata dal giudice ordinario, di un rapporto sinallagmatico tra il servizio di smaltimento dei rifiuti e la controprestazione gravante sugli utenti. La determinazione del corrispettivo prescinderebbe dal rapporto sinallagmatico, in quanto, la nozione di corrispettivo ai fini IVA, andrebbe correlata non alla nozione civilistica di contratto sinallagmatico, bensì ad un collegamento economicamente valutabile. La decisione del tribunale sarebbe sorda di fronte all’interpretazione della sesta direttiva Iva offerta dalla Corte di Giustizia Europea che avrebbe, a tal fine, ritenuto rilevantel’assenza economica dello scambio tra le prestazioni e non la cornice negoziale o autoritativa entro la quale lo stesso si realizza.
La decisione della Corte, con pronunciamento a sezioni unite, non accoglie le riflessioni, per nulla peregrine, del ricorrente. La Cassazione ribadisce quanto già detto in diverse pronunce del 2012 secondo cui, la tariffa del d. lgs. 22/97 non è assoggettabile all’IVA in quanto ha natura tributaria in assenza di volontarietà del rapporto tra le parti, mentre l’IVA mira a colpire una qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo. Il legislatore italiano si sarebbe servito di un prelievo di matrice tributaria così come gli consentono le norme europee che, sul punto, lascia discrezionalità al legislatore nazionale. La possibilità di qualificare una prestazione di servizi come operazione a titolo oneroso, presuppone unicamente l’esistenza di un nesso diretto tra prestazione e corrispettivo effettivamente percepito che, nel caso di specie, non appare esserci.
La decisione porta alla ribalta una questione mai risolta dal legislatore nazionale e caratterizzata da interventi molto diversi tra loro. L’Agenzia delle Entrate, con Risoluzione n. 25/E del 5/2/2003, affermò la natura non tributaria della TIA ed il conseguente assoggettamento all’IVA, fornendo un autorevole sostegno alla tesi della natura di corrispettivo della stessa TIA. Successivamente, con la Risoluzione 250/E del 17/6/2008 ribadì la natura non tributaria della Tariffa ed il conseguente obbligo di applicazione dell’IVA. Si giunge poi alla Sentenza della Corte Costituzionale 238/2009 con cui il giudice costituzionale, in via incidentale, afferma in maniera chiara, la natura tributaria della TIA e la conseguente non applicabilità dell’IVA sul prelievo. Stessa conclusione viene nel frattempo ribadita dalla Corte Costituzionale con due diverse ordinanze del 2010 la n. 300/2009 e la n. 64/2010. La Corte di Cassazione, a sezioni unite, con la sentenza 8313/2010 si adegua alla natura tributaria. La Corte dei Conti, con il parere della sezione del Piemonte 65/2010 ha pienamente condiviso la tesi della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione.
Nel perseverante silenzio del legislatore, il MEF interviene con la circolare dell’11 novembre 2010, nella quale il Dipartimento delle finanze stabilisce per via analogica la natura non tributaria della Tia 1 appoggiandosi sulla norma che dichiarò esplicitamente soggetta ad Iva la Tia 2. La principale argomentazione adottata dal MEF consiste nella constatazione che la “TIA2” può “in definitiva essere regolata dalle disposizioni inerenti la TIA1 ”, circostanza che “conduce a concludere che i prelievi presentano analoghe caratteristiche e che la volontà del Legislatore è stata, con l’art. 14, comma 33, anche quella di dare nuova veste alla TIA1, nelle more dell’emanazione del regolamento di cui all’art. 238, comma 6. Pertanto, se alla luce delle nuove disposizioni i due prelievi sono regolati ormai dalle stesse fonti normative, non appare razionale attribuire alla TIA1 una natura giuridica diversa da quella della TIA2. Di conseguenza, se la TIA2 ha natura di corrispettivo ed in quanto tale è assoggettabile all’IVA, non può affermarsi diversamente per la TIA 1”.
Il problema non è di poco conto. L’Iva chiesta in fattura non è nelle casse del gestore anche se questo è il soggetto cui va rivolta la richiesta di restituzione. Non a caso nel 2010 si parlò di un intervento normativo che prevedeva il rimborso dell’IVA pagata sulla TIA attraverso il meccanismo delle compensazioni fiscali per circa 1200 comuni, 6 milioni di contribuenti e circa 933 milioni di euro. E non va nemmeno sottaciuto che, in quelle realtà dove la Tia entrava nei bilanci del gestore, il piano finanziario veniva costruito depurato dall’Iva sui costi e applicata alla fine in sede di fattura con conseguente operazione fiscale di detraibilità che, a questo punto, sarebbe stata fatta indebitamente (pur in buona fede!) e comporterebbe pure la rideterminazione delle tariffe (oggi impossibile).
L’ultima pronuncia delle sezioni unite non fa che riportare alla ribalta una questione mai risolta e che tale rimane, tanto più che la sentenza nasce da un caso di specie e a questo va circoscritto. Rimane necessario un intervento normativo che illustri i meccanismi da seguire per evitare una situazione caotica che non può ribaltarsi ancora una volta nei piani finanziari dei comuni.
Cassazione SS.UU. – Sentenza n. 5078/2016, pubblicata il 15/3/2016