Secondo quanto previsto dall’articolo 1, commi 641 e seguenti della Legge 147/2013 (Legge di Stabilità 2014) la Tari è dovuta nel caso in cui l’immobile inciso dal tributo sia suscettibile di produrre rifiuti. Quindi, interpretando letteralmente il dettato normativo, sono soggetti a Tari anche gli immobili non utilizzati, nonostante non risultino essere allacciati alle reti idriche. Come nel caso della Tarsu, anche per la Tari la norma di legge impone la tassazione di tutti gli immobili “suscettibili di produrre rifiuti urbani”.
Del resto, facendo riferimento alla Tares, è possibile rimarcare che la relazione sull’articolo 14 del Decreto Legge “salva Italia” (D.L. 201/2011), che l’aveva istituita, pone in rilievo che il legislatore, laddove assoggettava al tributo gli immobili “suscettibili di produrre rifiuti”, aveva inteso recepire “il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, riconducendo l’applicazione del tributo alla mera idoneità dei locali e delle aree a produrre rifiuti, prescindendo dall’effettiva produzione degli stessi”. Quindi, le regole fissate dalla Suprema Corte (infra) per la Tarsu trovano applicazione sia alla Tares sia alla Tari, non essendo stata modificata per quest’ultima la previsione contenuta nella vecchia norma di legge. Al riguardo, anche di recente la Cassazione, con l’ordinanza 18022 del 24 luglio 2013, ha ritenuto legittima la pretesa di un Comune di applicare la Tarsu a un appartamento inutilizzato. Il cambio di residenza del contribuente, la denuncia di cessazione dell’occupazione dell’immobile e il mancato consumo di energia elettrica non sono stati ritenuti elementi idonei e sufficienti ad esonerare il proprietario dal pagamento della tassa rifiuti. La tassa deve inoltre essere versata anche nel caso in cui non venga utilizzato il servizio di smaltimento svolto dall’amministrazione comunale.
In realtà, sulla questione relativa alla tassabilità ai fini Tari degli immobili inutilizzati si registrano prese di posizione divergenti tra Cassazione, giudici tributari e Ministero dell’Economia e delle Finanze. Anche le amministrazioni comunali non hanno quasi mai applicato la regola fissata dalla Suprema Corte, che ha sempre posto dei limiti rigidi per l’esonero dal pagamento del tributo sui rifiuti, che è dovuto a prescindere dal fatto che il contribuente utilizzi effettivamente l’immobile.
Ex lege, secondo la posizione espressa dalla Corte di Cassazione andrebbero esclusi dalla tassazione solo gli immobili che risultino non utilizzabili (inagibili, inabitabili, diroccati) non avendo alcuna rilevanza la scelta soggettiva del titolare di non utilizzare l’immobile. Anche il mancato arredo non costituisce prova dell’inutilizzabilità dell’immobile e della inettitudine alla produzione di rifiuti: un alloggio che il proprietario lasci inabitato e non arredato si rivela sì inutilizzato, ma non oggettivamente inutilizzabile
Per la prima volta il principio è stato affermato con la sentenza 16785 del 30 novembre 2002. Regola ribadita con le sentenze 9920/2003, 22770/2009, 1850/2010 e altre. Sempre la Cassazione (ordinanza 1332 del 21 gennaio 2013) ha poi stabilito che l’esonero dal pagamento del tributo non spetta neppure quando il contribuente fornisca la prova dell’avvenuta cessazione di un’attività industriale.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, invece, nelle linee guida che ha fornito ai comuni nel 2013 sulla corretta applicazione della Tares (tassa sui rifiuti e i servizi), ha sostenuto che non sono soggetti al pagamento le unità immobiliari che risultino essere privi di mobili e di allacci alle reti idriche e elettriche e che di fatto non vengono utilizzate. Dunque, secondo il ministero, gli immobili inutilizzati destinati ad abitazioni private o a attività commerciali e industriali non sarebbero state soggette al pagamento quanto meno della Tares. La tesi ministeriale si pone però in netto in contrasto sia con le pronunce della Cassazione che con l’interpretazione del legislatore (articolo 14, comma 3 del Decreto Legge 201/2011, convertito con modificazioni dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214, secondo cui “Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani), laddove prevede la tassazione di tutti gli immobili “suscettibili” di produrre rifiuti urbani, vale a dire oggettivamente utilizzabili, a prescindere dall’effettiva produzione dei rifiuti medesimi
La giurisprudenza della Cassazione e dei giudici di merito, finora, hanno sempre ritenuto illegittima la previsione regolamentare, adottata da alcuni Comuni, che tendeva ad escludere per la Tarsu (o a dichiarare esenti dal tributo) gli immobili che non avessero arredi, oppure allacci alla rete elettrica o idrica (sentenze n.16785/ 2002, n. 9920 /2003, n.1850/2010 ed altre). Si cita la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia (sentenza n. 121 del 25 ottobre 2012) che ha, infatti, sancito che la non attivazione delle utenze (gas, energia elettrica, acqua) non è decisiva ai fini del pagamento della Tarsu. I Magazzini e i locali di deposito sono soggetti al pagamento della Tarsu, anche se non sono allacciati alle reti elettriche, del gas o dell’acquedotto. I medesimi principi vanno applicati in materia di Tari.
Per quanto qui possa occorrere va evidenziato che laddove la produzione di rifiuti sia rappresentata da rifiuti elettronici relativi ai pezzi di ricambio degli stessi macchinari destinati alla produzione di energia elettrica, gli stessi sarebbero da considerarsi rifiuti speciali e i locali in cui gli stessi risulterebbero prodotti, qualora smaltiti dagli stessi proprietari a proprie spese, dovrebbero essere esentati dalla TARI rispettando le previsioni di legge in materia. La Corte di Cassazione con sentenza n. 9858/2016 ha ribadito infatti come non si debba pagare l’imposizione tributaria per la raccolta e lo smaltimento rifiuti sulle aree destinate ad attività produttive che producano rifiuti speciali.