1. In tema di tariffa rifiuti corrispettiva (o puntuale) si registra una generale diffidenza, alimentata a livello di opinione pubblica anche dalle note sentenze in materia di Iva su T.I.A., sull’effettiva possibilità di istituire un prelievo sui rifiuti di carattere non tributario: vari elementi che la caratterizzano vengono infatti utilizzati come indici e/o prove certe di tale sua irrimediabile natura.
Prima di scendere nell’analisi dei principali argomenti a tal fine impiegati merita svolgere una breve riflessione sull’oggettiva peculiarità del servizio rifiuti: sarà poi più facile riconsiderare tali argomenti sotto l’aspetto prettamente giuridico.
2. La gestione dei rifiuti urbani costituisce un servizio pubblico essenziale, universale e divisibile: ciò significa che esso deve essere assicurato, senza soluzione di continuità, a tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale e relativamente a tutte le situazioni astrattamente idonee a produrre rifiuti. La tutela dell’ambiente e della salute umana impongono, come appare facilmente comprensibile a tutti, che un servizio di raccolta e gestione dei rifiuti venga organizzato e predisposto per tutte le situazioni in cui questi possano originarsi e/o essere prodotti e ciò anche a prescindere dall’effettiva (regolare) loro produzione: non potendo sapere se, dove e quando verranno prodotti rifiuti, il servizio deve essere comunque garantito, e con standard adeguati, per tutte le situazioni nelle quali è presumibile che essi si producano.
Tutto ciò implica che in presenza di una qualsiasi situazione, anche di mero fatto, potenzialmente idonea a produrre rifiuti (cd. utenza) il servizio va comunque obbligatoriamente predisposto ed organizzato (acquisto dei contenitori per la raccolta dei rifiuti, loro distribuzione sul territorio ovvero alla singola utenza, calendarizzazione delle raccolte ecc.) in modo da garantire anche a quell’utenza la regolare raccolta dei rifiuti se e quando essi saranno prodotti. Questo significa che i) il servizio rifiuti va organizzato a prescindere dalla volontà del titolare della situazione suscettibile di produrre rifiuti, ii) il servizio rifiuti, per una sua parte considerevole, va organizzato prima che si producano rifiuti (un servizio rifiuti organizzato a posteriori non avrebbe alcun senso pratico) e iii) la raccolta di rifiuti è una fase naturale ma non necessaria del servizio: non tutte le situazioni suscettibili di produrre rifiuti, infatti, li producono poi effettivamente e con regolarità.
Su tale premessa ripercorriamo ora gli argomenti che, come anticipato, alimentano una generale diffidenza nei confronti di una tariffa rifiuti realmente alternativa alla tradizionale tassa.
3. È una tassa perché tutti devono pagare i rifiuti. La circostanza che tutti siano chiamati a concorrere al pagamento del servizio rifiuti non dipende da una (pretesa) natura necessariamente tributaria del corrispettivo del servizio, bensì dalla circostanza di fatto – tanto semplice quanto (oggi) insuperabile – che tutti producono rifiuti: i rifiuti urbani, come osservava l’avvocato generale Julianne Kokott, “sono una conseguenza prevedibile del nostro stile di vita attuale. Essi vengono perlopiù prodotti da un elevato numero di consumatori finali e di piccole imprese. I costi che ne derivano in ciascun caso concreto sono tipicamente limitati. Lo smaltimento dei rifiuti urbani riveste pertanto il carattere di un «affare di massa»” (Conclusioni presentate il 23 aprile 2009 nella causa C-254/08, Futura Immobiliare). I rifiuti, dunque, fanno parte della nostra quotidianità, famigliare e lavorativa: noi produciamo rifiuti quando mangiamo, quando ci vestiamo, quando ci divertiamo, quando lavoriamo. Per il nostro stile di vita attuale produrre rifiuti è la regola, una (rara) eccezione non produrli. L’eventuale natura tributaria del prelievo, pertanto, non c’entra nulla.
4. È una tassa perché manca un contratto tra cittadino/utente e gestore del servizio. Questa diffusa convinzione deriva da un’altra circostanza di fatto largamente preponderante: gli obblighi di pagamento trovano per lo più causa in un contratto, verbale o scritto. Tuttavia il nostro ordinamento civile conosce il principio della pluralità delle fonti degli obblighi giuridici: stabilisce infatti l’art. 1173 c.c. che le obbligazioni “derivano da contratto, da fatto illecito e da ogni altro fatto o atto idoneo a produrlo in conformità all’ordinamento giuridico”. Non tutti gli obblighi giuridici che non trovano fonte in un contratto dunque hanno natura tributaria.
Per i rifiuti dunque l’obbligo di concorrere al loro pagamento ha fonte nel fatto di essere titolare di una qualsiasi situazione suscettibile di generare rifiuti e della conseguente necessità di predisporre un adeguato servizio per la loro raccolta e gestione. L’irrilevanza della volontà del soggetto trova invece agevolmente causa e spiegazione nella prevalenza del bene tutelato, ossia la salvaguardia dell’ambiente e della salute umana.
5. È una tassa perché misura solo in via presuntiva i rifiuti prodotti. Anche la quantificazione presuntiva o «a corpo» dei rifiuti prodotti viene spesso utilizzata come prova certa ed inconfutabile del carattere necessariamente tributario del prelievo sui rifiuti.
Tale rigore appare però alquanto singolare perché la nostra società conosce una pluralità di situazioni di tariffe flat (ad esempio, la maggior parte delle tariffe dei nostri cellulari, i pacchetti «tutto compreso» delle vacanze, le tariffe per il noleggio di furgoni di una data dimensione ecc.) per le quali mai è sorto alcun dubbio di corrispettività. Non solo. I prezzi di qualsiasi prodotto o servizio rispondono normalmente a logiche e leggi di tipo economico (tra tutte quella della domanda e dell’offerta), mentre i costi effettivamente correlati alla creazione del prodotto od all’erogazione del servizio rilevano per lo più solo in misura minoritaria. Ma nessuno ha seriamente pensato che un prezzo di un qualsiasi prodotto (es. auto) o servizio (es. taxi) che non corrisponda esattamente alla somma dei suoi costi produttivi e/o organizzativi (oltre all’utile ed alle spese generali) non sia per ciò stesso qualificabile come corrispettivo di quel prodotto o di quel servizio.
Questo rigore risulta ancora più singolare se si considera, come si è avuto occasione di anticipare, che i rifiuti fanno parte della nostra quotidianità, famigliare e lavorativa.
In proposito merita altresì ricordare che la Corte di Giustizia, già in due occasioni, muovendo proprio da carattere di «affare di massa del servizio rifiuti», ha promosso sistemi (italiani) presuntivi di quantificazione dei rifiuti ritenendoli comunque conformi al principio europeo «chi inquina paga». La presunzione infatti non è altro che un sistema di misurazione che soccorre in tutti i casi nei quali, per una qualsiasi ragione, non siano disponibili tutti i dati normalmente necessari per una misurazione esatta ed assolutamente precisa: essa consiste nel ricavare un dato ignoto partendo da un dato noto. Ma questa fisiologica «imprecisione» della presunzione, ove siano rispettati i canoni di ragionevolezza e proporzionalità, non falsa la bontà e la credibilità del risultato così ottenuto. Ed infatti il nostro ordinamento riconosce alle presunzioni un valore giuridicamente probatorio (art. 2727 c.c.).
6. Una tariffa che utilizza il sistema cd. «vuoto per pieno» non può dirsi puntuale (e pertanto è una tassa). Qui l’equivoco sembra annidarsi proprio nella denominazione («vuoto per pieno») che si è (erroneamente) venuta affermando. In proposito deve infatti porsi mente al fatto che pressoché tutti i regolamenti tariffari stabiliscono la regola secondo cui i contenitori, in particolare quelli riservati al conferimento del rifiuto secco (o residuo o indifferenziato), devono essere esposti per la raccolta esclusivamente se pieni. Le regole di calcolo della tariffa evidenziano poi che il dato volumetrico rilevato, corrispondente al volume del contenitore di volta in volta assegnato ed esposto, viene utilizzato per calcolare la tariffa da addebitare a ciascun utente: il volume del singolo contenitore viene infatti moltiplicato per il numero di esposizioni effettuate dai singoli utenti in un dato periodo. Ciò significa che la corretta denominazione di questo meccanismo di rilevazione dei rifiuti conferiti non è «vuoto per pieno» bensì «pieno per pieno»: la regola è quella dell’esposizione del contenitore solo se pieno, per cui la presunzione è che ogni contenitore esposto sia pieno (non vuoto). Certo, l’esposizione di un contenitore non pieno può nei fatti avvenire (ed avviene), ma si tratta di casi minoritari e comunque di una violazione della regola imputabile al cittadino: pur conoscendo o potendo conoscere (in quanto indicata nei locali regolamenti gestionali e/o tariffari) la regola in parola, il cittadino non la osserva e così determina una quantificazione aggravata dei propri rifiuti. In simili situazioni, come noto, soccorre il principio generale di buona fede e correttezza nell’esecuzione dei rapporti giuridici che rende inammissibile qualsiasi pretesa fondata, in tutto o in parte, su una dolosa o colposa violazione delle regole poste (art. 1227, comma 2, c.c.).
7. Una tariffa che utilizza i cd. svuotamenti minimi non può dirsi puntuale. Anche in questo caso l’ostilità, pur comprensibile trattandosi di meccanismi ancora poco conosciuti, non trova alcuna reale ragion d’essere in quanto si tratta di un accorgimento finalizzato, da un lato, a garantire la copertura di costi organizzativi che prescindono dal comportamento del singolo utente e, dall’altro, a “evitare fenomeni distorsivi nel conferimento dei rifiuti, quali «il turismo dei rifiuti» e l’abbandono dei rifiuti, e per tener conto del fatto che, in realtà, anche all’interno dei costi variabili sono presenti delle componenti di costo «semi-rigide» (si pensi al costo dell’automezzo che si occupa della raccolta dei rifiuti, che comunque effettua il giro programmato a prescindere dal numero di contenitori che vengono svuotati)” [così, Studio IFEL sulla Tassa sui rifiuti 2015, p. 233]. Non si tratta dunque di costi ipotetici, ma di costi reali del servizio connessi ad una sua organizzazione minima ed al tempo stesso adeguata.
8. Il criterio della superficie appare assolutamente improprio (i rifiuti sono un fatto umano) e per di più tipico delle imposte patrimoniali. Anche tali rilievi, ad una più approfondita riflessione, appaiono non decisivi. Innanzitutto, la rilevanza della superficie trova sostegno nel fatto posto dalla legge a fondamento dell’obbligatoria attivazione del servizio e del correlato obbligo di concorrere al suo pagamento, ossia l’occupazione di aree o locali: maggiore è l’estensione di tale presupposto, maggiore si presume essere la sua incidenza sul servizio da organizzare. Trattandosi di presunzione relativa, ossia superabile ove si dimostri che un dato locale (pur occupato o detenuto) non è suscettibile di produrre rifiuti per l’attività che ivi si svolge ovvero che lì non si può svolgere, essa non può dirsi in sé irragionevole: la disponibilità di uno spazio, infatti, nella normalità dei casi corrisponde ad una concreta possibilità di suo utilizzo da parte del titolare e l’utilizzo da parte dell’uomo solitamente produce rifiuti.
In secondo luogo, già nel d.p.r. 158/1999, la superficie era destinata ad assumere, a regime, una rilevanza caratteristica per la sola parte fissa della tariffa, ossia quella parte finalizzata a coprire le componenti essenziali del servizio, mentre per la parte variabile i mq assumevano rilevanza soltanto in via transitoria (articoli 4, co. 2 per le utenze domestiche e 5, co. 2 per le non domestiche). A ben vedere dunque la superficie, sin dall’origine, è stata chiamata a svolgere innanzitutto un ruolo di ripartizione dei costi relativi ai servizi essenziali, intesi come attività da compiersi necessariamente per potersi garantire un servizio rifiuti idoneo, nonché per quelli relativi ai servizi indivisibili (quali, l’impiantistica di servizio, lo spazzamento stradale, la gestione degli abbandoni di rifiuti, ecc.). La circostanza che si tratti di servizi usufruiti in maniera collettiva e non individuale non inficia però in alcun modo il legame tra servizio e suo corrispettivo: il servizio di tutti, invero, è anche il servizio di ciascuno. Per il servizio indivisibile, non essendo possibile quantificare in maniera divisa il «pezzetto» di servizio riferibile al singolo, il problema diventa trovare un criterio (possibilmente) equo di ripartizione dei costi. Ma è e rimane un problema di equità, non di corrispettività.
9. Un’ultima considerazione: la scelta di un prelievo di carattere patrimoniale in luogo della tradizionale tassa sui rifiuti risponde non solo ad esigenze di maggiore equità nella ripartizione dei costi del servizio, ma anche di un reale sviluppo del servizio in termini di efficienza ed economicità nonché di rispetto sostanziale del principio «chi inquina paga».
Sotto tale ultimo aspetto merita soffermarsi su un passaggio della sentenza della Corte di Giustizia 16 luglio 2009, causa C- 254 Futura immobiliare, laddove si precisa che “48. (..) allo stato attuale [sottolineatura nostra] del diritto comunitario, non vi è alcuna normativa adottata in base all’art. 175 CE che imponga agli Stati membri un metodo preciso di finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani, di modo che tale finanziamento può, a scelta dello Stato membro interessato, essere indifferentemente assicurato mediante una tassa, un canone o qualsiasi altra modalità”.
Il riferimento “allo stato attuale” del diritto comunitario fatto dai Giudici di Lussemburgo, a ben vedere, sottolinea che la tassa sui rifiuti è un’opzione ragionevole ed accettabile sin tanto che non emergano soluzioni organizzative che, sotto il profilo tecnico e/o economico, non consentano di adottare prelievi più efficaci nel disincentivare in concreto una maggiore produzione di rifiuti.
La conformità al diritto europeo, ed ancor prima la tutela dell’ambiente e della salute umana, richiedono infatti che le politiche ambientali si evolvano ed adottino strumenti più efficaci ed efficienti ogni qual volta ciò sia o diventi possibile. Invero, se in forza del principio «chi inquina paga» la tariffa deve essere uno strumento capace di influenzare la nostra naturale attitudine a produrre rifiuti – premiando comportamenti virtuosi e disincentivando, con un maggior addebito, quelli non virtuosi – essa diventa realmente efficace solo nel momento in cui il nostro comportamento ne determina una variazione, in positivo o in negativo. Se, per contro, qualsiasi nostro comportamento è irrilevante per la sua quantificazione la sua efficacia ambientale ne risulta molto scemata.
Quest’ultima considerazione, si ritiene, possa costituire un’utile chiave di lettura anche in merito alla tanto controversa questione del quanto una tariffa corrispettiva debba misurare per poter meritare tale qualificazione: per la parte relativa ai servizi indivisibili o comunque necessariamente organizzati e resi, può continuare a farsi riferimento a sistemi presuntivi (purché ragionevoli e proporzionati), mentre la parte di servizio che può essere influenzata dal comportamento del cittadino-utente richiede una quantificazione quantomeno (in un’ottica di contenimento dei costi e di priorità ambientale) per quei rifiuti aventi un più elevato impatto ambientale. Nel primo caso, infatti, sussiste principalmente un problema di equità nella ripartizione dei costi, mentre nel secondo assume concreto rilievo l’esigenza di farsi strumento di un’efficace politica a tutela dell’ambiente e della salute